Un tema nuovo è emerso di prepotenza sulla scena politica croata in concomitanza con la campagna elettorale per le amministrative del 16 maggio prossimo: quello del divieto del lavoro domenicale. A lanciare il sasso nello stagno è stato il governo presieduto dal premier Andrej Plenković che ha proposto, che soltanto 16 domeniche all'anno siano lavorative. Come dire, c'è la volontà di tenere aperti comunque i negozi per qualche mese anche la domenica con l'occhio rivolto alla stagione turistica e magari alle festività di fine anno. L'iniziativa politica del governo ha ottenuto il via libera al vertice della maggioranza. I Riformisti, una delle forze politiche della coalizione hanno appoggiato con convinzione la proposta. Hanno espresso entusiasmo per la stessa anche gli esponenti del Most, ovvero dell'opposizione di destra d'ispirazione cattolica. Il divieto del lavoro domenicale è una richiesta storica degli ambienti sindacali e cattolici, che finora non ha trovato sufficiente terreno fertile. Anche stavolta a esprimere perplessità, se non aperta contrarietà all'iniziativa, sono state alcune forze del centrosinistra. Il Presidente della Repubblica, Zoran Milanović, notoriamente proveniente dall'area del centrosinistra, ha dichiarato che soltanto la domenica il grosso dei cittadini ha tempo per dedicarsi allo shopping, mentre il resto della settimana è indaffarato a lavorare. La proposta del governo dovrebbe materializzarsi in un progetto di legge da approvare subito dopo le elezioni amministrative. Non è escluso che alla fine ci sia qualche compromesso: da più parti è stato chiesto infatti che il divieto di apertura domenicale degli esercizi commerciali non riguardi i piccoli negozi. Va ricordato che già una decina d'anni fa, sempre su proposta del centrodestra, era stata approvata dal Sabor una normativa sul divieto del lavoro domenicale. Poi ci avevano pensato i giudici costituzionali a cassarla, sancendo la libertà di lavoro. Un dettaglio questo che fa pensare che anche questa volta il percorso dell'iniziativa non sia tutto in discesa.
Dario Saftich/La Voce del popolo