Esattamente un anno fa, il 25 febbraio, veniva segnalato a Zagabria il primo caso di Covid 19. Contagiato un giovane rientrato da Milano dove aveva assistito alla partita di calcio tra Atalanta e Valencia. Da lì - come nel resto d’Europa - è stato via via un crescendo con l’abbattimento della soglia psicologica dei 100 contagi giornalieri registrata il 19 marzo e quella dei mille il 2 di aprile. Esattamente ad un mese dalla comparsa del virus segnalata, purtroppo, la prima vittima, ed era istriana. Dalla morte di Nino Krnjus, noto ristoratore di Verteneglio, questa terribile e subdola infezione ha provocato il decesso di altre 5 mila 489 persone. In un anno si contano complessivamente quasi 242 mila contagi e tra la fase primaverile, contraddistinta dal totale lockdown, e quella autunno-invernale i numeri peggiori riguardano quest’ultima con più di 4 mila infetti e dai 30 ai 50 morti giornalieri a metà dicembre. Dodici mesi caratterizzati, ad eccezione del periodo estivo, da limitazioni e misure di contenimento che più o meno rigorose hanno interessato tutti i settori: commercio, industria, artigianato, scuole, transito, cultura, ristorazione per non parlare della chiusura dei confini. Provvedimenti che stanno stretti, ma ai quali ci si è abituati anche perché cresce la fiducia nella campagna vaccinale avviata a fine dicembre che nonostante tutte le difficoltà e polemiche legate a vaccini e vaccinazioni, fa guardare con un po’ di speranza al futuro.
Lionella Pausin Acquavita
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