L'italiano, a metà Novecento, era parlato abitualmente da meno del 20% della popolazione italiana, oggi lo è dal 95%. Possiamo dunque stare tranquilli: nonostante l'invadenza dell'inglese, la nostra lingua almeno a breve termine non andrà incontro all'estinzione alla stregua del latino da cui è nata. Come faceva osservare con una battuta un autorevole linguista, "perché sessanta milioni di persone cambino idea ci vuole tempo".
Alla periferia dell'area linguistica italiana, in Istria, il discorso - si sa - è necessariamente diverso, perché l'italiano, lingua di minoranza, ha qui una base demografica molto più fragile e anche le politiche di sostegno al bilinguismo rimangono troppo spesso inapplicate. Ma si può provare a vedere il bicchiere mezzo pieno: l'italiano, nonostante tutto, resiste all'assimilazione. Merito delle scuole, dell'impegno delle istituzioni della nostra comunità nazionale, e di quel bilinguismo ufficiale, certo, che per quanto lacunoso ne promuove l'uso pubblico e l'insegnamento diffuso.
Si dirà che per gli italiani dell'Istria, il nativo, il vero canale di comunicazione e trasmissione delle tradizioni culturali italofone è piuttosto il dialetto; che nella vita quotidiana l'utilizzo dell'italiano standard è tuttora piuttosto limitato. Vero. Ma questo non ci impedisce di riconoscerci anche noi, oggi forse un po' più di ieri, nella nostra lingua nazionale, che è una grande lingua di cultura, amata e studiata in tutto il mondo. Ci piace ricordare a questo proposito che nelle nostre scuole, dove studiano anche tanti ragazzi non madrelingua, è cresciuto in questi anni un italiano parlato, imperfetto magari, ma che prima non esisteva. È un fatto molto positivo, un traguardo importante. In Istria l'italiano ha sicuramente molto bisogno di essere sostenuto, ma intanto abbiamo l'orgoglio di una lingua, che è simbolo di una appartenenza e di una cultura.