E' tempo di celebrare il compleanno di Dante, nato a Firenze nel 1265 sotto il segno dei Gemelli, come lui stesso ci rivela in alcuni versi del Paradiso. La data precisa, però, è incerta.
Dante, la cui grande opera - la Commedia che col Boccaccio chiamiamo Divina - assomiglia (rubando le parole a un poeta di oggi, Valerio Magrelli) a una sorta di Everest europeo, da cui scorre il fiume millenario della lingua che irriga la nostra poesia e la nostra prosa. Quella lingua che Dante usa come un elastico (e qui citiamo la definizione del linguista Giuseppe Patota), tendendola verso l'alto e verso il basso fino all'estremo, dalle espressioni elegantissime al vocabolario da taverna di parole come bordello e merdoso, mai prima di allora trattate nella letteratura. La sua lingua è sostanzialmente la nostra: ben l'80 per cento delle parole che usiamo oggi, nell'italiano di tutti i giorni, e già in Dante; senza contare le tante parole coniate o diffuse da lui come accidioso, contrappasso e squadernare.
Grande sperimentatore delle potenzialità del linguaggio, e poeta immenso: Dante ha consegnato al mondo il più grandioso tentativo mai compiuto di dare una risposta agli eterni interrogativi della condizione umana, indagando il destino dell'uomo dopo la morte e i misteri dell'infinito e del divino.
Il successo della Commedia dura da settecento anni, e se vogliamo dare credito a chi se ne intende, come il dantista Claudio Giunta, rileggere l'Inferno "se lo si è già letto e studiato un po', porta via grosso modo una domenica, mattina e pomeriggio, con un'ora di pausa pranzo e mezz'ora per la passeggiata. E' una domenica ben spesa: il libro è pieno di bellezze che uno si ricordava benissimo, e che è un piacere ritrovare, mentre alcune se l'era dimenticate, o non ci aveva mai fatto veramente attenzione". Che cosa ne dite, proviamo?