Chi lo ha conosciuto ricorda che Leonardo Sciascia quando si sentiva appellare "maestro!" rispondeva sornione "Ebbene sì, maestro di scuola io sono". Il grande scrittore siciliano era diplomato alle magistrali e proprio con i suoi ricordi di insegnante elementare aveva esordito nel 1956 come narratore, nel libro "Le parrocchie di Regalpetra" (cittadina dietro cui si nasconde la sua natale Racalmuto). Uomo semplice e intellettuale complesso, protagonista di tante battaglie civili, Leonardo Sciascia è stato interprete, per dirla con uno scrittore suo conterraneo, Pierangelo Buttafuoco, di una Sicilia e di un'Italia bisognose di verità e di diritto, fuori dai vincoli dell'ideologia dominante, nel tempo difficile di un Paese attraversato dalle stragi, dalle trame oscure della mafia e da una politica deviata, contro ogni ipocrisia del potere. Una presenza, la sua, viva nella letteratura e nella società italiana, che lo ha visto anche impegnato prima a fianco del PCI poi come deputato alla Camera con i Radicali (a cavallo degli anni Settanta e Ottanta) e spesso al centro di polemiche per le sue prese di posizione in tema di politica e di giustizia. La sua è stata la lezione di un intellettuale eretico (e per questo accostato spesso a Pasolini): lo stesso profilo dei personaggi dei suoi libri, in bilico tra saggio e racconto. Celebre su tutti "Il giorno della civetta" (del 1961), dove per la prima volta si racconta il fenomeno mafioso come qualcosa che è "dentro" lo Stato. Dedicato alla sua Sicilia l'altro romanzo in chiave gialla "A ciascuno il suo" (uscito nel 1966). E ancora da citare almeno "Todo modo", un'indagine sulle oscure trame del potere politico italiano, del 1974. Che restano, a giudizio di critici e lettori, alcuni dei libri più belli del nostro Novecento .
Ornella Rossetto