Il Trieste Film Festival ha preso il via con due pellicole che pongono in risalto le linee programmatiche scelte sin dalla prima edizione: l’attenzione all’Europa centro-orientale, a quella vasta area geografica che l’Occidente guardava con diffidenza e che maestri del cinema del livello di Zanussi, Žulavski, Menzel, Paskaljević, Žilnik, Tanović, Loznica, e molti altri, erano capaci di raccontare nelle sue dimensioni e sfaccettature meno conosciute. Il via dunque con il docu-film Meeting Gorbaciov di Werner Herzog e Andre Singer, che presenta l’ex leader sovietico ultraottantenne, provato dalla malattia, ma lucido e ben disposto a raccontare gli anni che precedettero la dissoluzione dell’Unione sovietica. Il secondo film della serata Possessione di Andrzej Zulavski, considerato il capolavoro del regista polacco, è in stretto collegamento con uno dei simboli della repressione: il Muro di Berlino. Accanto alle pellicole di nuova produzione il festival quest’anno dedica un’ampia sezione a quanto realizzato nel corso di tre decenni, quindi a pellicole più emblematiche prodotte nell’area centro orientale. Ma parlando del Muro c’è anche la possibilità di far sorridere: come nel film Rabbit a la Berlin del regista polacco Bartek Konopka, presentato ieri al Politeama Rossetti, in cui le vicende tra le due parti del Muro viene raccontata da due conigli selvatici, metafora per quanti dell’area socialista volevano mantenere una vita pacifica sotto l’ala protettiva dello stato. Questo pomeriggio al cinema Ambasciatori passa il documentario I Leoni di Lissa di Nicolò Bongiorno, che evoca la storia della leggendaria battaglia navale al largo dell’isola di Lissa, icona della marineria moderna.
Miro Dellore