"Sono diventato attore perché sono stato in campo di concentramento". Una confessione a cui non ci sarebbe altro da aggiungere per raccontare questo protagonista della scena italiana che con umanità, ironia, simpatia, valori etici oltre che artistici ha attraversato onori e orrori di quasi tutto il Novecento. Alle spalle settanta anni di teatro, passando dai classici all'amato Pirandello, da Goldoni a Ionesco, quattro anni fa recitava ancora ''Dipartita finale'' con la regia di Branciaroli e sul palcoscenico, pur curvo sulle spalle, era l'attore che si muoveva di più sul palcoscenico. Diplomato a vent'anni, Tedeschi parte poi per la guerra, sottotenente in Grecia, e dopo l'8 settembre, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò, finisce in un lager nazista in Germania dove recita con i compagni di prigionia. Debutta a Roma nel 1947, scelto e diretto da Strehler. Inizia così una carriera di successo, che lo vede lavorare con registi che vanno da Visconti a Ronconi, passando per Garinei e Giovannini, sempre pronto a misurarsi anche col varietà e la commedia leggera, capace di cantare e muoversi danzando accanto a Delia Scala o a Ornella Vanoni. Lavora alla radio con Raffaella Carrà, diversi anche i ruoli per il cinema con Steno, Dessin e Rossellini. L'importante è non perdere mai la misura – osserva -sapere che ''il teatro è un grande gioco, magari tragico'' e conservare quel recitare ''semplice, buttato via, moderno'' che dà il sottotitolo al libro intervista biografico ''Teatro per la vita'', realizzato anni fa con Enrica, una delle sue due figlie. Per il compleanno, si è fatto promettere, nessun festeggiamento, tanto più che le figlie e i nipoti sono obbligatoriamente lontani per l'emergenza Covid.
Miro Dellore