Foto: AP
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Anni '70, Jugoslavia. Il comunismo da quel senso di sicurezza ai propri cittadini, si vive in un clima dove tutto è tranquillo e scontato. C'è la certezza di un lavoro fisso, in molti si possono permettere i primi sfizi come l'automobile di produzione straniera, viaggi, l'acquisto di una seconda casa.

È proprio in questo momento, alla fine degli anni '70, che in Slovenia nasce il Punk. Bastano dei dischi comprati a Londra per far conoscere i Sex Pistols e i Clash e per far prendere piede nel paese a questa subcultura giovanile. Gli iniziatori sono i Pankrti e dopo di loro ci saranno molti gruppi che li seguiranno e molti luoghi che diventeranno iconici, come la Metelkova a Lubiana.

Il punk continua a esprimersi in maniera indisturbata per qualche anno, poi comincia la repressione. La leadership comunista incomincia ad accorgersi che quella generazione non credeva più nei loro stessi valori e che i musicisti si prendevano beffe dei valori della rivoluzione e della classe politica. I testi punk sloveni includevano spesso critiche sociali e politiche e messaggi contro la guerra.

Segue la morte di Tito, la crisi economica e il cammino verso l'indipendenza.
Il decennio di democratizzazione della repubblica porta in evidenza alcuni timori del nuovo governo come la perdita dell'identità nazionale.

Ciò che racconta la mostra di Novi Sad sono gli aspetti del movimento punk sloveno e uno sguardo sull'importante ruolo della fotografia nel documentare il movimento e altri eventi subculturali dal 1977 alla metà degli anni '80. Tra il materiale reperito audio cassette, vecchie VHS, pezzi di articoli di giornale oltre che fotografie. Questa sera oltre a fare da guida tra i pezzi in mostra si potrà anche seguire la conversazione coadiuvata dalla curatrice Marina Gržinić, Jovita Pristovšek e il fotografo Damjan Kocjančič.