Prima della rete ci fu la televisione. Quella in bianco e nero degli inizi, che è stata come sempre si ricorda 'maestra di lingua' in un Paese, l'Italia, in cui a metà Novecento si usava ancora prevalentemente il dialetto in ogni situazione della vita quotidiana. Ci faceva notare il linguista Tullio De Mauro (nella sua "Storia linguistica dell'Italia repubblicana") che pochi anni dopo l'esordio della tv, nel 1954, "in aree compattamente dialettofone fu possibile stabilire che l'ascolto abituale della televisione valeva, ai fini della padronanza dell'italiano, cinque anni di scuola". Risale al 1960 l'avvio di "Non è mai troppo tardi", un "Corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta", come recitava il crudo titolo del programma, promosso dalla Rai con il sostegno del ministero della Pubblica Istruzione. Andò avanti per otto anni, sempre condotto dal carismatico Alberto Manzi, maestro e pedagogista, che insegnava a leggere e a scrivere a gruppi di persone presenti in studio e a chi lo seguiva da casa. Si calcola che oltre un milione di italiani sia riuscito grazie alle sue lezioni a conseguire la licenza elementare.
Ma c'è un'altra esperienza di tv pedagogica che con le scuole chiuse e i ragazzi costretti a casa dall'emergenza è tornata alla ribalta, quella di Telescuola, con la quale - dal 1958 e per la prima volta in Europa - il servizio pubblico italiano ha promosso dei veri corsi di istruzione per i residenti in zone della Penisola privi di scuole. L'attuale potenziamento del canale tematico della televisione nazionale, che ha arricchito la propria programmazione per studenti, insegnanti e famiglie, così come il debutto sull'istriana Tv Nova di un Programma didattico in lingua italiana rivolto alle scuole della nostra minoranza per sostenere la formazione a distanza, segna dunque una riscoperta del valore educativo e pedagogico della televisione. Come ha osservato qualcuno, "il nuovo è sempre un calco dell'antico".
Ornella Rossetto