Una passeggiata nella storia del territorio, indagata sotto una luce particolare, quella del cibo e della cucina, che è parte significativa della nostra storia complessiva.
Un itinerario lungo due millenni, dall'età romana alla fine dell'Ottocento, le consuetudini alimentari in città e quelle delle campagne, come mangiava il popolo e le tavole delle classi sociali più elevate. Tutto nella mostra realizzata in tandem dall'Archivio e dal Museo regionale di Capodistria, un'iniziativa che si inserisce nell'ambito delle attività del progetto Slovenia - Regione europea della gastronomia 2021 e contemporaneamente prelude alla pubblicazione di un volume di approfondimento sulla storia dell'alimentazione a Capodistria e nel suo contado in uscita a dicembre.
Tra i molti aspetti di cui rendono conto i pannelli dell'esposizione non mancano le curiosità. Come l'influenza di Venezia sullo sviluppo della cucina capodistriana, di cui si è occupata l'archivista Deborah Rogoznica. "Questo tipo di ricerche è basato soprattutto sui fondi d'archivio, e quindi spogliando i fondi delle famiglie capodistriane, specialmente quelle nobili, è possibile ricostruire almeno parzialemnte - i documenti sono esigui - l'influenza che Venezia ha giocato anche sulla cucina". Che cosa ci ha lasciato la Serenissima in fatto di cucina? "Sicuramente una tradizione riscontrabile ancora oggi in varie ricette, prima di tutto in quelle dei dolci".
Altri pannelli illustrano poi la cucina dei monasteri e quella degli istituti di carità come il Pio Istituto Grisoni. Di quest'ultimo si è conservata la "tabella dietetica", ovvero il menù settimanale per gli allievi e le allieve datato 1883. Il sabato, per esempio, si mangiavano "pasta con fagiuoli, formaggio e pane" a pranzo; "polenta con qualche verdura od altra cosa e pane" per cena. La domenica il menù prevedeva invece "riso, carne di bue e pane" a pranzo; "patate ed altra verdura secondo la stagione, formaggio e pane" a cena. Un secolo prima alle monache del convento di Santa Chiara, secondo le istruzioni del vescovo, era concesso di mangiare il brodo solo una volta la settimana e negli altri giorni la minestra, più corroborante e dunque più adatta, si legge nel documento, alla "indebolita umanità".

Foto Mariella Mehle, La Voce del Popolo
Foto Mariella Mehle, La Voce del Popolo