40 anni di attività, incontri, pubblicazioni e occasioni culturali, unite da un unico obiettivo, quello di favorire il dialogo fra istriani andati e rimasti e far emergere un’unica identità istriana nell’euroregione che va “da Cherso al Carso”.
La storia del Circolo di Cultura Istro Veneta “Istria”, in occasione di 40 anni di attività, è stata raccolta nel libro di Silva Bon “Quarant’anni di vita”, e ripercorre la storia del sodalizio nato nel 1982, quando c’era ancora il muro di Berlino, con lo scopo di proporre una nuova visione del tema dell’Esodo, puntando, anziché alla contrapposizione, al dialogo fra rimasti ed esuli.
“40 anni fa - ha detto il presidente Ezio Giuricin, che ha partecipato alla presentazione, accanto al presidente onorario Livio Dirigo, all’autrice Silva Bon e a Rosanna Turcinovich, che ha moderato l'incontro organizzato alla biblioteca Stelio Crise a Trieste - i fondatori del Circolo Istria hanno interpretato uno scenario di rottura come un’opportunità di dialogo, hanno trasformato il peso della storia in speranza, e hanno avviato un dialogo a 360 gradi in quell’euroregione che va da Cherso al Carso. Oggi ne parlano tutti - ha aggiunto -, ma 40 anni fa ci è voluto molto coraggio”.
Il libro non è però un’autocelebrazione, né uno sguardo al passato: nelle intenzioni del Circolo rappresenta invece una base per i progetti futuri ora che, con l’attenuarsi della pandemia, sarà possibile ritornare a fare attività sul territorio, un aspetto che ha sempre caratterizzato l’azione del circolo Istria. Accanto alla richiesta di una politica che tenesse conto di andati e rimasti, con pari dignità, “un aspetto assolutamente innovativo per l’epoca”, il circolo ha infatti cercato di valorizzare non solo gli aspetti storici e politici, ma anche culturali, culinari, e naturalistici della regione che va dalle foci del Timavo fino a Cherso.
“Io – dice l’autrice Silva Bon - definirei questo libro una grande avventura, iniziata negli anni 80, quando era assolutamente impensabile e politicamente scorretto proclamare un dialogo tra andati e rimasti. Proprio il discorso politico di apertura verso gli istriani che sono rimasti nell’Istria slovena e croata, è stato qualcosa che ha segnato tutto il percorso del Circolo Istria, partito da motivazioni politiche e culturali legate alla storia dell'esodo, per diventare anche momento di grande propulsione e anche quasi di ritorno fisico in Istria. È stata un’attività anche di carattere economico, di rivalutazione dei sapori e delle bellezze dell'Istria. Questo differenziarsi con una politica culturale a 360 gradi di ritorno verso l’Istria è stata interpretata in maniera diversa dai presidenti che si sono avvicendati alla guida del Circolo, e a cominciare da Giorgio Depangher e Marino Vocci, che sono fra fondatori, poi Livio Dorigo che ha avuto sempre grandissimi interessi per il mondo dell'etologia, per il mondo marino, l'ecologia e ha puntato a riattivare tutta una serie di tradizioni artigianali o alimentari per esempio, e poi anche naturalmente politiche”.
Silva Bon ricorda ad esempio che “la tragedia della miniera di Arsia è stata ricordata per la prima volta andando fisicamente ad Albona proprio dal circolo Istria, e poi anche la tragedia di Vergarolla, ritornando materialmente e fisicamente a Pola dove c'è una lapide che ricorda questo momento drammatico, una delle cause scatenanti dell’esodo in marcia dei polesani dalla città. Sono tutti e due degli eventi molto importanti che si devono al Circolo Istria: non si tratta di un voler ricordare stando lontano, ma di voler materialmente frequentare e abitare i luoghi dove queste cose sono successe".
“In generale - conclude - abbiamo sempre puntato al dialogo con gli autoctoni sloveni e croati, un dialogo che ha una visione europea, di collaborazione tra stati e tra popoli. L’Istria, tutto il territorio che per il Circolo si chiama da Cherso al Carso, è un territorio che ha le sue specificità, origini quasi mitologiche, magiche, bellezze naturali e culturali che sono state cantate fin dall'antichità, è questo dovrebbe essere ricordato dalle giovani generazioni con orgoglio, e con appropriazione della propria identità culturale”.
Alessandro Martegani