Renzo de' Vidovich
Renzo de' Vidovich

Le condizioni di salute nell’ultimo anno lo avevano tenuto lontano dalle manifestazioni e dalle commemorazioni sull’esodo e dedicate ai fatti legati alla storia di Trieste, ma Renzo de’ Vidovich, rimarrà sempre uno dei volti più noti della storia degli esuli e delle battaglie per l’italianità di Trieste.
De’ Vidovich, morto due giorni all’età di 90 anni, era un esule di Zara, e si trasferì a Trieste con la famiglia dopo i bombardamenti alleati della città nel '43.
La sua attività a favore del ritorno di Trieste all’Italia iniziò fin dalla scuola: divenne segretario generale della giunta d'intesa studentesca, che fra le altre cose organizzò anche moti del 5 e 6 novembre 1953 contro il governo militare anglo-americano alleato. In quei giorni morirono sei persone e ci furono 153 feriti.

Anche dopo il ritorno del capoluogo giuliano all’Italia, la sua attività politica fu sempre incentrata sui temi dell’italianità e della tutela degli esuli, spesso in aperta polemica con la sinistra e la comunità slovena in Italia.
Nel 1968 divenne segretario del sindacato di destra CISNAL, fu consigliere comunale di Trieste e a Duino Aurisina, ma l’apice della sua carriera politica fu l’elezione alla Camera nel 1972, gli anni del trattato di Osimo, nelle liste del Movimento sociale italiano, all’interno del quale fu anche fra i protagonisti di una scissione, non venendo rieletto nella legislatura successiva.
La sua attività all’interno dell’area più conservatrice della comunità degli esuli proseguì, fino a diventare presidente della Federazione degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati e prosindaco del Libero Comune di Zara in Esilio, partecipando alla costituzione delle comunità italiane in città come Zara, Spalato, Lesina e Cattaro.
Aveva anche aderito a Forza Italia, e fu proprio su una proposta di de’ Vidovich, appoggiata dalla Lega Nazionale di Trieste, che il governo Berlusconi chiese e ottenne nel 2004 dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d’oro al valor civile ai caduti dei moti del ’53, ricordando “il nobile esempio di elette virtù civiche e amor patrio, spinti sino all'estremo sacrificio”.
Alessandro Martegani