
Le vittime erano di tutte le estrazioni sociali, in gran parte giovani: uno aveva 16 anni, cinque ne avevano 17, tre 18 e numerosi altri tra 19 e 24 anni, mentre il più anziano ne aveva 60; tra loro anche una ragazza di vent'anni. Provenivano da Monfalcone, Trieste, Pola e altre località dell'Istria, dalla valle del Vipacco e dalla zona di Fiume e del Quarnero.

Le salme furono poi portate il giorno seguente alla Risiera di San Sabba; si trattò delle prime vittime bruciate nel forno crematorio costruito dai nazisti. Solo uno dei 72 ostaggi si salvò dall'eccidio, Stevo Rodić. La sua testimonianza raccontava di come il mattino del 3 aprile lui ed altri detenuti al Coroneo furono caricati su due camion coperti.
Quelli che conoscevano la zona capirono, attraverso i buchi del telone, che stavano andando a Opicina. Li fecero scendere un po' fuori dal paese e li fecero schierare un più file. Alcuni piangevano, altri gridavano "A morte il fascismo", "Libertà ai popoli", "Viva i partigiani", "Viva Stalin".

Cominciò la sparatoria. Caddero gli uni sugli altri. Questo consenti a Rodić di salvarsi: tedeschi si avvicinarono ai caduti per dare il colpo di grazia a coloro che si lamentavano. La pallottola destinata ad un compagno lo colpì a una gamba. I tedeschi ricevettero l'ordine di rimanere di guardia fino all'arrivo dei camion per il trasporto delle salme. Si fece notte e quando una nube oscurò la luna, Rodić colse l'occasione per scappare, sebbene ferito. Nei giorni successivi si nascose nella boscaglia fino a quando non raggiunse i partigiani.
Grazie alla sua testimonianza fu possibile ricostruire questa tragica vicenda accaduta 81 anni fa, che oggi è stata ricordata al Poligono di Opicina dall'Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI), Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti (ANED) e Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA).
Davide Fifaco

