In attesa di definire con precisione un luogo in cui la comunità musulmana di Monfalcone possa pregare, ed esercitare così concretamente il proprio diritto alla libertà di culto, il comune della Città dei cantieri conferma la propria posizione.
Anche nell’ultima nota diffusa dall’amministrazione guidata da Anna Maria Cisint, si ricordava come i ripetuti pronunciamenti del Consiglio di Stato in merito ai due centri islamici abbiano chiaramente ribadito che la libertà di culto individuale è considerata “diritto inviolabile”, ma anche come debba esercitarsi nel rispetto delle norme, confermando di fatto le ordinanze del Comune che avevano vietato la preghiera nei due centri culturali che erano destinati ad altro uso. Le sedi dei centri, ha ribadito l’amministrazione, “non possono essere moschee”.
Il Comune ha anche avviato uno scambio di lettere con le due organizzazioni che gestiscono i centri, ritenendo, fra l’altro, così esaurita anche la richiesta dei giudici amministrativi di avviare un confronto con la comunità islamica, ed evitando quindi la convocazione di un tavolo per un incontro.
“Il Comune di Monfalcone ha già comunicato – dice la nota - l’attivazione, a tutti gli effetti, del tavolo indicato dal provvedimento del Consiglio di Stato” con “la decisione di dar corso al confronto in forma epistolare, ritenuta la più idonea al fine della chiarezza necessaria, ma anche della necessità di immediatezza dell’interlocuzione per i fini della stessa”.
Il Comune in particolare ha chiesto alle due associazioni di rispettare le ordinanze, ricordando anche che “venerdì scorso i due edifici sono stati utilizzati in palese violazione delle disposizioni emesse e di quella leale collaborazione che però viene pretesa”.
Sono stati richiesti anche dati sul numero degli associati di ciascun centro, e informazioni su giornate e orari in cui s’intendono utilizzare i siti adibiti alla preghiera, che saranno indicati dai tecnici dell’amministrazione comunale a breve, fermo restando il fatto che è già possibile la preghiera nel cortile di uno dei centri islamici, come sancito dal Consiglio di Stato.
Anche in provincia di Pordenone intanto, Claudio Colussi, primo cittadino di Casarsa, di centro destra, ha avviato una verifica su alcuni locali nei pressi della stazione della città, che sarebbero utilizzati come luoghi di preghiera. Secondo il sindaco i locali, molto frequentati, sarebbero registrati in comune come circolo culturale e non come luogo di culto, definizione che richiede il rispetto di specifiche norme di sicurezza.
Alessandro Martegani