Un quarto di secolo, un percorso che partì da un'Europa decisamente più ristretta di quella attuale e che stava vivendo le ultime drammatiche fasi della Guerra in Jugoslavia. In quel contesto nacque "Dialoghi Europei - Centro di studi economici e sociali", associazione che ha da sempre nel suo DNA la volontà di fare da ponte tra il territorio dell'nordest italiano e l'Est Europa. Un anniversario festeggiato con la pubblicazione che raccoglie numerosi contributi sull'azione svolta in questo lungo periodo. In questi anni sono state costruite delle solide basi che permettono di guardare con fiducia al futuro, come ci ha spiegato il Presidente dell'associazione, Štefan Čok: "abbiamo presentato la pubblicazione per i 25 anni dell'associazione ed è essa stessa una pubblicazione che ragiona sul lavoro fatto ed al contempo però si pone degli interrogativi sulle tante cose su cui dialoghi europei potrà focalizzarsi nei prossimi anni, dai grandi temi della Geopolitica per capire il mondo che cambia intorno a noi, allo sviluppo dell'Unione Europea, alle opportunità ed alle difficoltà che l’Unione Europea vive, anche nell'ultimo anno a causa della pandemia, che interessa tutti inevitabilmente. Per poi andare a capire anche cosa sta succedendo nella nostra area transfrontaliera. Sono particolarmente contento che anche oggi a questa iniziativa si sia parlato tanto di rapporti fra comunità, si sia parlato delle cose che sono state fatte e anche dei numerosi aspetti sui quali c'è ancora un lavoro da fare".
Inevitabile a questo punto, citare anche la crescita di rapporti che c'è stata tra l'Italia e la Slovenia.
"Assolutamente sì, ma essendo anche da questo punto di vista consapevoli che anche qua, innanzitutto, non si può mai dare le cose per scontate. Nella nostra area abbiamo quasi imparato a dare per scontato il fatto che, per esempio, il confine tra Italia Slovenia e non ci fosse più. Abbiamo scoperto nell'ultimo anno, purtroppo a causa della pandemia, che c'è ancora e quindi c’è comunque uno sforzo quotidiano che penso possa essere fatto solo assieme dalle aree di confine tra Italia e Slovenia, nel rapporto con i rispettivi stati, per far capire quelle che sono le esigenze di un territorio che si sente unico e che, come tale, chiede di essere trattato, nelle sue specificità, nelle sue esigenze e nelle opportunità che può offrire ad entrambi i Paesi".
Tu da rappresentante della comunità slovena a Trieste il confine lo vedi ancora più come una cosa fisica o è ancora tanto mentale?
"Fino all'anno scorso avrei detto che era tanto mentale. L'ultimo anno ci dimostra che può essere ancora una cosa fisica e quindi, da questo punto di vista, uno degli stimoli che dobbiamo dare nei prossimi anni e sul come evitare che le cose che abbiamo visto nell'ultimo anno che intendiamoci, sono comprensibili, perché stiamo affrontando una pandemia che ha richiesto anche delle limitazioni, ma deve esserci sempre la consapevolezza del fatto che parlare di un confine chiuso che si trova a 500 km da te è una cosa, parlare di un confine chiuso che va a incidere sulla tua quotidianità perché quotidianamente avevi creato una rete di rapporti che lo superava, è tutta un'altra faccenda. Ecco questo penso sia uno dei temi su cui c'è ancora da lavorare e su cui c'è ancora da sensibilizzare. Un'ultima considerazione: il modo in cui, per esempio, Gorizia e Nova Gorica hanno reagito alla pandemia, mostrando che vivevano come qualcosa di estraneo quella barriera che tornava a dividerle e come invece non ci sia stata una reazione equivalente nell’area di Trieste, anche nei confronti dell'entroterra in Slovenia, sia verso il Carso che verso l’Istria, induce a pensare che comunque c'è ancora un lavoro da fare, tanto lavoro di divulgazione, tanto lavoro di approfondimento ed è ciò che continuiamo e continueremo a fare".
Davide Fifaco