Sono passati più di 22 anni da quel 23 dicembre, quando tre agenti della Squadra volante della Questura di Udine furono uccisi nel centro del capoluogo friulano da un ordigno lasciato all’esterno di un negozio di telefonia.
Fu un caso che colpì nel profondo la città e tutta la regione, per il numero delle vittime, per l’assurdità del gesto, e perché mancavano meno di due giorni a Natale.
Su quei fatti c’era già una verità giudiziaria: secondo la Corte di Cassazione, che ha pronunciato una sentenza definitiva nel 2014, dopo un’indagine molti complessa, non priva di depistaggi e silenzi, ad uccidere i tre agenti, Giuseppe Zannier, Adriano Ruttar e Paolo Cragnolino, investiti dall’esplosione dell’ordigno lasciato davanti a un negozio di telefonia mobile in viale Ungheria a Udine, erano stati due cittadini albanesi Ilir Mihasi e Saimir Sadriam, già al centro di un giro di sfruttamento della prostituzione, condannati per strage.
Fino a pochi giorni fa, era sempre stata ritenuta un’azione contro gli agenti, l’ordigno era stato anche incendiato per attirare le potenziali vittime, ma, come riportato dal quotidiano locale, il Messaggero Veneto, ora la procura ha riaperto il fascicolo.
Nuove testimonianze porterebbero a pensare che l'obiettivo della bomba sarebbe stato il negozio di telefonia, e non i tre agenti accorsi sul posto. Nelle prime fasi il titolare del negozio, Paolo Albertini, era stato anche indagato, ma poi tutto era rientrato.
Le indagini proseguono con il massimo riserbo, ma tutto lascia pensare che gli inquirenti si stiano orientando su una pista che porta al movente economico e non alla rappresaglia contro alla polizia. La stessa Procura del capoluogo friulano ha diramato un comunicato in cui conferma che “considerata la rilevanza dell’evento e l’interesse che tale vicenda suscita nell’intera cittadinanza, si rappresenta comunque che sono in corso i necessari approfondimenti investigativi finalizzati a verificare la fondatezza o meno di recenti acquisizioni dichiarative”.
Alessandro Martegani