Un vertice sui Balcani diventato una sorta di passerella di funzionari, diplomatici e rappresentanti della categorie, una conferenza sui Balcani senza nemmeno un relatore proveniente dall’area al centro dei lavori, i giornalisti ufficialmente isolati in sala stampa, e perfino le domande da dichiarare prima e scelte dai funzionari del ministro.
Non sono gli elementi di una commedia sulla politica, ma è quanto andato in scena ieri al centro convegni del Porto vecchio a Trieste , dove era in programma la Conferenza nazionale “l’Italia e i Balcani Occidentali, crescita e integrazione”. L’evento, annunciato poco dopo la nascita del governo Meloni come una sorta di vertice di pace, ha abbandonato il senso originario nel corso dell’organizzazione, diventando una presentazione dei programmi di espansione economica dell’Italia nell’area.
Sul palco, dopo l’introduzione del ministro Antonio Tajani e i saluti di rito, si sono infatti succeduti diplomatici, funzionari di istituzioni finanziarie, banchieri, imprenditori e organizzazioni di categoria, tutti uniti da un solidale intento: mettere in luce quanto è stato fatto dall’Italia nei Balcani e illustrare, a se stessi, come Roma intenda essere un attore di primo piano nello sviluppo e nella stabilizzazione dell’area. Del resto lo stesso Ministro Tajani l’aveva detto: “Se lasciamo uno spazio vuoto, questo spazio sarà occupato da altri”. Un riferimento alla Russia, a cui guarda senza nemmeno troppi misteri la Serbia, ma anche alla concorrenza con i partner europei, che al momento sembra essere il primo elemento di preoccupazione del governo.
L’aspetto paradossale però è che tutto questo è andato in scena senza sentire il parere di chi in quelle aree vive, senza prevedere la partecipazione di funzionari, governanti e imprenditori dei Balcani. Su una cinquantina d’interventi, solo due non erano di cittadini italiani: uno era il Commissario Ue all'allargamento, Oliver Varhelyi, l’altro di un funzionario della Word Bank. Era stato distribuito anche un traduttore simultaneo, del tutto inutile visto che solo due interventi erano in inglese. Pianificare il futuro dei Balcani senza il contributo dei Balcani appare quantomeno singolare.
È stata invece una passerella per il progetto di Roma di portare “più Italia nei Balcani”, come ha detto la Premier Giorgia Meloni in un video messaggio, una visione su cui evidentemente lo staff del ministro gradisce contribuiti da tutti, in Italia, ma non da parte della stampa.
I giornalisti infatti, nei programmi dell’organizzazione del Ministerio degli Esteri, avrebbe dovuto seguire sette ore di lavori in video collegamento dalla sala stampa, situata addirittura in un altro padiglione; l’accesso alla sala principale era ammesso solo a fotografi e cameraman. I badge erano addirittura marcati con un bollino rosso. Il divieto, a dire la verità, è stato immediatamente e costantemente violato da tutti i colleghi, che hanno circolato liberamente anche nell’area dei relatori, ma l’intenzione di tenere i giornalisti lontani era evidente, ed è emersa soprattutto nella conferenza stampa finale del Ministro.
Già prima dell’arrivo di Tajani (a dire la verità a livello personale molto disponibile a rispondere, così come le altre autorità presenti), gli incaricati dello staff avevano interpellato la sala stampa, collega per collega, facendosi anticipare le domande da porre, procedura di per sé irrituale, ma gli spazi per interloquire si sono ulteriormente ridotti quando sono state concesse solo cinque domande, senza peraltro seguire l’ordine della lista, ma scegliendo, nella migliore delle ipotesi, testate e agenzie a maggior diffusione, nella peggiore gli argomenti meno scomodi.
Solitamente, se ci sono tempi ristretti, l’annuncio che saranno concesse solo poche domande viene fatto in anticipo, dando ai giornalisti il tempo di concordare i temi in modo da evitare sovrapposizioni, e inoltre, a dirla tutta, non sembrava proprio che il ministro avesse tutta questa fretta.
Sia come sia, la selezione delle domande, da parte dello staff di chi a quelle domande dovrebbe rispondere, è una prassi a dir poco discutibile e sicuramente non rispettosa della funzione della stampa, che, è forse il caso di ricordarlo ai solerti funzionari del Ministro degli esteri, è fondamentale per la democrazia: ma forse anche questo è un aspetto che non merita di essere trattato.
Alessandro Martegani