Alti rappresentanti della repubblica di Slovenia, del mondo della cultura slovena ed italiana, ma soprattutto gli sloveni di Trieste e d’Italia, si sono raccolti intorno a quello che è considerato il loro simbolo. Boris Pahor ha dato dignità letteraria alla minoranza slovena in Italia, ha dato voce alle sofferenze patite dagli sloveni durante il fascismo, ma ha soprattutto fatto parlare della minoranza slovena e degli sloveni non soltanto a Trieste e dintorni, ma anche in tutto il resto del paese. Lo testimoniano i fiumi di inchiostro che sono stati versati sui giornali italiani al momento della morte dello scrittore triestino.
I suoi funerali si sono così trasformati nell’ennesima manifestazione d’amore per un personaggio singolare, per un nonno diverso, come ha detto una delle sue nipoti che lo ha ricordato in un sentito elogio funebre. Un nonno che ha avuto meno tempo per loro, ma che gli ha insegnato essere critici e fermi e che soprattutto ha lasciato a loro ed al mondo il racconto di un’epoca terribile. Pahor ha dovuto fare i conti con tre totalitarismi: il fascismo, il nazismo ed il comunismo che hanno messo a repentaglio la sua esistenza fisica e l’identità nazionale l’ha rimarcato Evgen Bavčar, colui che più di altri ha contribuito a farlo conoscere nel mondo letterario francese ed europeo.
Per il ministro per gli sloveni nel Mondo, Matej Arčon si è “perso un personaggio, un grande sloveno, un grande triestino e un grande europeo, che ha lasciato un grande messaggio di umanità. Un messaggio che il futuro dobbiamo vivere in sincronia, in pace e se volete anche con amore. Dobbiamo dire no all’ingiustizia”.
Al funerale c’erano comunque tanti allievi di Pahor che hanno voluto stare accanto a lui sino all’ultimo istante. La senatrice Tatjana Rojc, nel corso della cerimonia non ha trattenuto le lacrime, non ha mancato di sottolineare l’amore che lo scrittore aveva per la libertà, un valore che non è mai gratuito e per cui Pahor non ha avuto paura di pagare un prezzo altissimo.
Stefano Lusa