Un flusso in aumento, che non viene risolto in alcun modo dalla chiusura del Silos e di fronte del quale le amministrazioni locali e Trieste sembrano non accettare il ruolo di città di transito della rotta balcanica.
È questo il quadro, tracciato dalla Rete solidale delle organizzazioni umanitarie che si occupano di accoglienza dei migranti che giungono nel capoluogo giuliano (Comunità di San Martino al Campo, Ics, Diaconia Valdese, Donk - Humanitarian medicine, International rescue committee Italia e Linea d’Ombra), in occasione della presentazione del rapporto “Vite abbandonate” che, a pochi giorni dallo sgombero del Silos, ha fatto il punto sulla situazione dell’immigrazione a Trieste.
“Fra il 2022 e il 2023 – dice Gianfranco Schiavone, del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste - abbiamo assistito a un forte aumento degli arrivi; nel 2023, come dice il rapporto, sono state registrate circa 16.000 persone in arrivo a Trieste. I dati sul 2024 chiaramente non li vedremo alla fine dell'anno, ma registriamo una modesta flessione. Se anche questa flessione dovesse continuare, noi comunque parliamo di non meno di 10, 12 13 mila persone che entreranno in questa città, il 20 per cento presenta domanda d'asilo, e a fronte di questi numeri il programma di prima accoglienza a Trieste è sempre stato estremamente carente”.
La maggior parte dei migranti arriva da Afghanistan, Pakistan e Turchia, e la maggior parte non intende restare in Italia ma andare in altri paesi come Germania, Francia, Svizzera e Belgio.
In un anno quasi 2500 persone sono state trasferite verso altre regioni, ma non c’è alcun meccanismo “ad alta rotazione”, che consenta un’accoglienza adeguata.
Il rapporto contiene, accanto ai dati su flussi, nazionalità e richieste dei migranti, anche alcune raccomandazioni, per le istituzioni di Trieste, città che “è e rimarrà un luogo di arrivo e di passaggio per un elevato numero di persone che fuggono da situazioni drammatiche”: la creazione di un piano pubblico in grado di garantire un’assistenza umanitaria e un ricovero temporaneo per diverse migliaia di persone, un sistema di prima accoglienza dei richiedenti asilo ad alta rotazione che garantisca un’immediata accoglienza, e misure per favorire la gestione dell’accoglienza garantendo la libertà delle persone, promuovendo l’inclusione sociale, ed eviti forme di marginalizzazione e ghettizzazione.
Paradossalmente. È stato detto, con la chiusura del Silos, “struttura di cui nessuno ha nostalgia”, è stato specificato, i problemi esploderanno, in particolare per i migranti vulnerabili, come famiglie, minori e donne sole, in aumento nel 2023. “Il Silos – ha detto Giulio Zeriali di Diaconia Valdese - era un posto di disagio estremo e di abbandono. Ora quel luogo è sigillato, ma la mi chiedo quali saranno le opportunità di prima accoglienza di bassa soglia per le persone che arriveranno nella rotta balcanica dopo la chiusura del Silos?”
Alessandro Martegani