Arrivano su ogni tipo di mezzo e con qualsiasi targa: il flusso di cittadini ucraini al valico di Fernetti è ancora moderato, ma le forze dell’ordine e dell’esercito italiano sono ormai impegnate da giorni nei controlli e nell’accoglienza di chi ha deciso di lasciare l’Ucraina.
Sono soprattutto donne e bambini, visto che agli uomini non è consentito varcare il confine dell’Ucraina: spesso mariti e padri accompagnano mogli e bambini fino al confine con la Moldavia, l’Ungheria o la Romania, poi le salutano e tornano indietro.
Al confine si fermano mezzi di ogni tipo: pulmini con targa ucraina che hanno già fatto la spola un po’ di volte fra il confine del paese e l’Italia (un servizio a pagamento che si sta moltiplicando in questi giorni, con centinaia di furgoni passeggeri in attesa al confine della Polonia e della Moldavia) ma anche mezzi con targhe italiane o di altri paesi europei, o automobili private. All’interno facce stanche e spaventate, sollevate per essere fuggite da un paese in cui la situazione si sta facendo sempre più drammatica, ma anche preoccupate per quello che potrebbe capitare ai parenti rimasti in Ucraina, come ci raccontano Maria e Irina, zia e nipote che, con i figli e le cugine, hanno viaggiato per tre giorni, attraverso la Romania, l’Ungheria e la Slovenia, e che hanno lasciato a Kiev mariti e genitori.
“Al confine con la Polonia - dice Maria, che stenta a trattenere le lacrime – ci sono file di 100 chilometri di macchine che attendono di uscire dal paese. Gli uomini rimangono, ma molti accompagnano le donne e i bambini fino al confine e poi tornano indietro. Noi siamo passate tre giorni fa: io, mia figlia, le mie due nipoti e due bambini, ma abbiamo dovuto lasciare gli uomini e anche i miei genitori, che non hanno voluto andarsene da Kiev”, raccolta disperata.
Ora andranno in Toscana, vicino a Grosseto, dove una famiglia amica gli ha offerto ospitalità, ma sul loro futuro c’è incertezza: non sanno se e quando potranno rientrare, e come e a quali condizioni potranno rimanere in Italia. La decisione di andarsene però era inevitabile, mi racconta Irina guardando i due bambini che, mentre giocano sul sedile posteriore della macchina, mi sorridono e mi fanno un saluto: “a Kiev ormai molti palazzi sono distrutti, anche a pochi metri dalla mia casa, i negozi sono distrutti, le stazioni, anche l’antenna della tv ora”. “Mio cugino ha vissuto per giorni nella cantina del proprio palazzo. Io ho preso i bambini, il passaporto e qualche vestito, e sono partita dieci minuti prima che chiudessero la città. Siamo passati dalla Romania, e abbiano viaggiato per tre giorni”. “La scelta era se rimanere e rischiare di morire o partire, e abbiano deciso così, ma quando la guerra finirà – dice commossa - io voglio tornare a casa”.
C’è sfiducia in una rapida soluzione della situazione però: i colloqui in corso non porteranno a niente, ci dice un’altra signora, “Putin vuole ricostruire l’Unione sovietica e non si fermerà”. “È incredibile, i russi erano dei fratelli per noi, e anche in Russia ci sono molte persone che non sono d’accordo, oppure che non sono informate. Anche dei nostri amici, che vivono Kaliningrad, non sanno quello che sta capitando: l’informazione in Russia è controllata da Putin, e non credono a quello che gli raccontiamo.” Una ragazza ci indica anche un canale Telegram che racconta quello che sta succedendo in Ucraina: “Grazie, mi dice salutandomi - per tutto quello che voi giornalisti state facendo”.
La solidarietà è evidente anche fra le forze dell’ordine italiane che controllano i documenti e forniscono delle indicazioni per la permanenza in Italia. Al confine ci sono anche gli addetti dell’Alto Commissariato per i rifugiati, che si avvicinano a ogni macchina o pulmino e forniscono le informazioni per richiedere la protezione internazionale.
Nessuno però finora, ci dicono gli agenti delle forze dell’ordine, ha chiesto di essere accolto in strutture pubbliche o fatto richiesta di asilo: tutti sanno già dove andare, da parenti o famiglie italiane che hanno offerto ospitalità, e proprio questo è forse uno dei pochi aspetti positivi della situazione: la gara di solidarietà che è partita non solo in Italia ma, come ci confermano gli stessi cittadini ucraini giunti a Fernetti, anche in altri paesi come la Romania o la Polonia, una solidarietà che ha fatto sentir loro l’Europa vicina, anche se c’è molto pessimismo per come si potrà evolvere la situazione.
Alessandro Martegani