La tesi della "delazione Slava" che per anni era stata legata alla morte di Luigi Frausin, sembra essere stata definitivamente smontata.
A questo tema, e più in generale al mito del comunismo del dopoguerra nell'area di dell'Alpe Adria, è dedicato il nuovo numero della rivista "Qualestoria", dell'Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia.
La rivista, intitolata "Il comunismo nell'area Alpe-Adria. Protagonisti, miti, demistificazioni", si avvale del contributo di numerosi storici, fra gli altri Patrick Karlsen e Luca Manenti, che hanno curato l'edizione, ma anche Ravel Kodrič, studioso del comunismo internazionale, e Nevenka Troha, ricercatrice presso l'Istituto di storia contemporanea di Lubiana.
Il numero è stato presentato nel corso di un incontro al Circolo della stampa di Trieste: i relatori hanno messo in luce come nuovi documenti d'archivio, divulgati ora in forma integrale, minino alla base la tesi della "delazione slava" utilizzata nel dopoguerra per incolpare il Fronte di Liberazione sloveno della morte di Luigi Frausin e del gruppo dirigente del partito comunista italiano a Trieste nel 1944.
Frausin, dirigente del Partito comunista e organizzatore della resistenza armata a partire dal '43, fu promotore del Comitato di Liberazione Nazionale triestino ed ebbe continui contatti con il Fronte di Liberazione sloveno. Fu arrestato, torturato e ucciso dai nazisti dopo esser stato tradito, una responsabilità che per anni fu attribuita ad elementi slavi: la recente documentazione però confuta questa teoria, attribuendone invece la responsabilità al servizio cetnico monarchico jugoslavo, come conferma uno dei curatori della rivista, Patrick Karlsen.
"Quello della "delazione slava - dice - è un luogo comune politico e mediatico, in parte anche storiografico, che è confluito addirittura nelle motivazioni espresse per la medaglia d'oro attribuita nel '57 a Luigi Frausin: si parla apertamente di "delazione slava" con intento polemico nei confronti del Movimento di liberazione sloveno. In realtà questi recenti ritrovamenti documentali smentiscono questa versione a decenni di distanza dalla sua invenzione: si tratta di rapporti del servizio cetnico informativo sloveno a Trieste, che documentano appunto la caduta del PCI italiano e del VOS-VDV, il servizio informativo partigiano sloveno, all'interno della stessa operazione. È significativo che questo documento, che noi abbiamo ritrovato e pubblicato in formato integrale, fu pubblicato anche dalla stampa cominformista di Vidali nel '49, ma ovviamente decurtato e manipolato, per escludere tutti i riferimenti che potevano essere comprensibili nei confronti della caduta della rete VOS-VDV. Vidali lo aveva utilizzato per incolpare anche lui i titoisti, accusati di aver tradito già nel '44, manomettendo questo documento, che noi ora abbiamo trovato in formato integrale".
"Frausin - aggiunge Karlsen - è stato trasformato in un simbolo di un presunto Comunismo italiano nazionale patriottico: aveva avuto dei contrasti con i comandi partigiani sloveni e con il Partito Comunista sloveno, questo è vero, però da qua a incolpare la resistenza slovena della sua morte ce ne corre, e molto".
Il presidente dell'Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, Mauro Gialuz, ha anche annunciato di aver avviato una procedura contro la motivazione della medaglia d'oro attribuita a Frausin, chiedendone la revisione per eliminare dalla motivazione il termine di "delazione slava".
L'inconsistenza di questa versione, utilizzata invece anche dal PCI per attaccare la Jugoslavia di Tito, era peraltro già nota da anni agli storici, come conferma Nevenka Troha, ricercatrice presso l'Istituto di storia contemporanea di Lubiana. "Non sono documenti nuovi - spiega -, c'erano già da anni, erano stati pubblicati dal Delo e dal Lavoratore nel '49, ma con l'intenzione dei partiti pro-Cominform di dare la colpa agli sloveni. In seguito, questo documento è stato trovato e poi depositato nell'archivio dell'Istituto regionale di Trieste, e adesso siamo riusciti a pubblicarlo e a commentarlo, a confrontare i testi, sia quello pubblicato in sloveno sia quello in italiano. L'originale sloveno non esiste, almeno non abbiamo trovato, ma anche il pezzo che è stato estratto dalla pubblicazione, dimostra che l'autore del testo non fu un appartenente ai servizi sloveni, ma un rappresentante del servizio cetnico di informazione: quest'uomo alla fine del '45 fu arrestato da parte dell'Ozna e interrogato, abbiamo trovato i contenuti dell'interrogatorio ed è tutto pubblicato e commentato nella rivista".
Su questa versione, che esclude la responsabilità dei servizi del Fronte di liberazione, gli storici italiani e sloveni erano in realtà d'accordo da tempo, aggiunge Nevenka Troha: "Abbiamo esaminato assieme anche altri documenti, come la famosa e riservatissima lettera di Vincenzo Bianco, rappresentante del Comitato centrale del PCI sul litorale, al Comitato Provinciale sloveno. Da tempo concordavamo con i colleghi italiani sul fatto che la colpa dell'arresto di Frausin non andava ricercata fra gli sloveni. In quel periodo c'erano numerosi arresti tra appartenenti del Partito comunista italiano, ma anche fra gli sloveni, e quasi tutti sono morti nella Risiera o sono stati deportati nei campi di sterminio".
Alessandro Martegani