Periodo di Quaresima, quantomai azzeccato, per i triestini ghiotti di cozze, che devono rinunciare per qualche tempo agli amati molluschi locali, noti nel capoluogo giuliano con il nome dialettale di "pedoci".
La rinuncia forzata è causata dalla presenza, piuttosto fuori stagione, di una sostanza tossica, prodotta da alghe microscopiche, che contamina le cozze. L'ingestione dei molluschi da parte dell'uomo può quindi provocare importanti sindromi intestinali.
A decretare l'obbligo di non raccolta (e quindi di non commercializzazione) delle cozze sulla riviera triestina, ad eccezione di una zona di Muggia, è stata la stessa Azienda sanitaria locale, con un provvedimento firmato dal direttore del Servizio di igiene degli alimenti di origine animale, Paolo Demarin.
La delibera prevede che "in caso di superamento dei limiti di legge delle biotossine algali, il Servizio veterinario debba emanare il provvedimento di temporanea sospensione della raccolta riguardante l'area interessata". Previste sanzioni pecuniarie da mille a seimila euro per chi non rispettasse il divieto sancito dalle autorità sanitarie.
Una decina le imprese del settore, che danno lavoro a circa quaranta persone, preoccupate per l'inatteso stop.
Come si può leggere sul locale quotidiano "Il Piccolo", Guido Doz, esponente della Federazione italiana maricoltori, ha ricordato che la presenza di questa tossina è molto frequente, ma solitamente in altri periodi, quindi almeno una volta all'anno è necessario sospendere l'attività di raccolta. L'anomalo anticipo probabilmente è causato alle variazioni climatiche in atto.
Le pescherie di Trieste hanno ovviato alla mancanza di prodotto locale affidandosi all'ingrosso, con rifornimenti su altre piazze dove non è presente la contaminazione, in modo da offrire alla clientela un prodotto comunque sano e garantito anche se non autoctono.
Davide Fifaco