Vie e piazze che fino a qualche ora fa, nell'ultimo fine settimana in cui Trieste è stata in zona gialla, brulicavano di persone, sedute ordinatamente ai tavolini dei bar a consumare seguendo le rigide regole anticovid, svuotate dall'entrata del capoluogo giuliano in zona arancione. Poche le persone in giro, ancora meno quelle che consumano con la formula dell'asporto, molte le serrande rimaste abbassate, circa la metà dei locali e dei bar più periferici, forse leggermente meno quelli del centro città, dove comunque c'è un po' più di passaggio. Ma la sensazione di chi si ritrova a passeggiare a Trieste e in generale quella di desolazione, senza il tipico movimento e chiacchiericcio delle persone sedute ai tavolini a bere il caffè. Difficile anche individuare alcuni locali aperti, visto che di giorno non ci sono le luci a farti capire che all'interno c'è qualcuno e spesso la “feritoia” adibita al passaggio del cibo e delle bevande e talmente piccola che si fa fatica a trovarla. Sembrano esserci due filosofie tra i ristoratori triestini, quella del “meglio di niente” e quella del “piuttosto che rimetterci resto chiuso”.
Ad aderire a questo secondo pensiero sembrano essere stati la maggior parte dei gestori del popoloso quartiere di San Giacomo, dove i bar di consuetudine sono un vero e proprio luogo di ritrovo per gli abitanti della zona, soprattutto i più anziani. Poche le realtà che hanno optato per l'apertura e poche anche le persone in giro. Stessa atmosfera anche davanti alle osterie, solitamente molto frequentate per la pausa pranzo ma quasi deserte in questo caso.
In centro città colpiscono i tavolini e le sedie ammucchiati agli angoli dei bar o dello spazio all'esterno dei locali. Non sono molte le persone che si fermano a consumare qualcosa; chi acquista una bevanda od un panino cerca poi una scalinata od una panchina per mangiare in queste giornate in cui il clima è clemente.
Ormai tra i commercianti il sentimento più diffuso è la rassegnazione; sono tutti stufi di questa situazione, stanchi di non poter lavorare ed amareggiati per gli sforzi, anche economici, fatti per poter tenere aperti i locali adeguandosi alle norme, ma che regolarmente vengono cancellati dai Dpcm o dalle ordinanze regionali che chiudono le attività. Il timore principale, come ormai si va avanti a dire da mesi, è che molte di quelle serrande non si alzeranno più.
Davide Fifaco