Gorizia è una delle comunità che più subiranno la decisione del governo di Lubiana di prevedere l'obbligo di tampone anche per studenti e lavoratori transfrontalieri. Le organizzazioni della comunità slovena in Italia e i sindacati hanno contattato il governo sloveno per cercare di ridurre, se non annullare, le restrizioni, un passo che, conferma il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, è necessario e va nell’interesse dei due paesi.
“È stato – dice - letteralmente un fulmine a ciel sereno, nel senso che non ci aspettavamo assolutamente una cosa simile, anche alla luce del dialogo che si era instaurato, dopo quello che abbiamo vissuto su questo lembo di confine pochi mesi fa, quando i due sindaci, io e l’amico Klemen Miklavič, sindaco di Nova Gorica, siamo intervenuti nei confronti del governo di Roma e del governo sloveno. Entrambi ci siamo incontrati anche in piazza Transalpina con l'allora Ministro degli Interni proprio per rappresentare le difficoltà delle due comunità. Eravamo certi che queste cose fossero state ormai acquisite, ma evidentemente così non è.”
“Noi – spiega Ziberna - abbiamo tantissimi ragazzi che vivono in Italia e studiano in Slovenia e viceversa, sono tantissimi sono coloro che vivono da una parte e lavorano dall'altra, chi lavora la propria terra, imprenditori che hanno l'impresa dall'altra parte, dipendenti. Ad esempio mi è stato segnalato il caso di due genitori che in modo alternato portano i loro i figli quotidianamente oltre confine: pagheranno 160 euro al mese per ciascuno, più di 600 euro per l’intera famiglia per i tamponi, oltre al disagio”.
“È una misura incomprensibile, soprattutto perché il contagio nella nostra regione, a maggior ragione in questo lembo confinario, è particolarmente basso: come diceva anche il sindaco di Nova Gorica, è più pericoloso in termini di possibilità di contrazione del contagio, andare a Lubiana piuttosto che varcare il confine qui”.
“Si tratta di logiche - conclude - che credevamo di aver superato, o di aver concorso a superare attraverso l’azione per due sindaci, colmando il gap, anche in termini di comunicazione, che si era creato: è fuori dubbio che una misura che colpisce anche un'altra nazione confinante deve essere condivisa adottata di comune accordo, e non lo dico solo nell’interesse dell'Italia ma anche della Slovenia”.
Preoccupazione continua a essere espressa anche dalle organizzazioni della comunità slovena “perché - spiega la presidente dell’SKGZ Ksenija Dobrila - le persone hanno già tante preoccupazioni e difficoltà per andare a lavorare, evitare di ammalarsi, continuare la propria vita nonostante le restrizioni, ma ogni 5-6 mesi regolarmente compare qualche restrizione di qualche tipo delle quali non capiamo veramente la logica”. “Il quadro clinico della regione Friuli Venezia Giulia è molto migliorato – aggiunge - : capirei delle precauzioni se ci fosse stato un peggioramento drastico, ma in questo caso non riusciamo veramente a capire la ratio di questa soluzione che costringerà a sforzi immani, sia finanziari sia di organizzazione, intere famiglie”.
“Quella del confine fra Italia e Slovenia è una situazione particolare che non va generalizzata e non c’entra nulla con la frontiera con l'Austria: qui il confine ormai è così permeabile, che qualsiasi norma restrittiva, che non ha un fondamento razionale, rappresenta un grave ostacolo”.
Sul piede di guerra anche i sindacati: Roberto Treu, presidente dal Consiglio Sindacale Interregionale Italia Slovenia ha sottolineato come si tratti “di una decisione in contrasto con le linee dell’Unione Europea secondo le quali i lavoratori transfrontalieri non possono essere discriminati rispetto ai lavoratori residenti” e come, “il provvedimento penalizzerà in modo grave sia i diretti interessati sia i datori di lavoro”.
Alessandro Martegani