Dopo il via libera del Senato, il disegno di legge sul premierato si appresta a tornare alla Camera per la seconda lettura prevista alle norme che regolano le modifiche della Costituzione.
La riforma, se approvata, rappresenterebbe una modifica sostanziale e radicale dell’assetto costituzionale italiano, visto che il testo presentato dal governo Meloni prevede che il capo del Governo sia eletto direttamente dai cittadini, con un mandato di cinque anni e il limite di due mandati consecutivi. La maggioranza che supporta il candidato o la candidata eletta avrà poi un premio di maggioranza, per garantire la governabilità.
La durata della legislatura sarebbe quindi legata alla permanenza a Palazzo Chigi del, o della premier: le Camere vengono automaticamente sciolte in caso di sfiducia, e solo in caso di dimissioni volontarie del Presidente del Consiglio c’è la possibilità di passare la mano ad un altro parlamentare della maggioranza.
Questo sistema, che avrà bisogno anche di una nuova legge elettorale, dovrebbe garantire la possibilità di scelta dei cittadini e maggioranze più stabili, ma riduce anche i poteri del Presidente della Repubblica che, di fatto, nella formazione dei governi avrebbe un compito notarile. Continuerebbe ad essere eletto dal Parlamento in versione allargata ai rappresentanti delle regioni, ma non avrebbe più il potere di nominate il premier. La riforma pone quindi fine ai governi tecnici, spesso nominati in fase di transizione o per portare a termine la legislatura.
La riforma riduce poi il quorum richiesto per l’elezione del Presidente della Repubblica, consente di sciogliere le Camere anche negli ultimi sei mesi di carica del Capo dello Stato, il cosiddetto “semestre bianco”, e (questa è stata una delle norme più contestate), non prevede più la figura dei cinque senatori a vita di nomina presidenziale.
La riforma è quasi un unicum nel panorama delle democrazie occidentali: se infatti ci sono molti casi di elezione diretta del presidente, come in Francia, l’unico esperimento di elezione diretta del premier è stato quello di Israele, che nel 1992 approvò una sorta di premierato, ritornando però indietro dieci anni dopo, poiché il sistema non era riuscito a garantire governabilità al paese.
Il disegno di legge italiano, su cui le opposizioni hanno annunciato una dura battaglia, dovrà essere esaminato ancora una volta da Camera e Senato: se nella seconda lettura dovesse essere approvato in entrambi i rami del Parlamento a maggioranza dei due terzi dei componenti, un’ipotesi altamente improbabile, sarebbe definitivamente approvato, altrimenti, come probabile, sarà sottoposto a referendum costituzionale, che, contrariamente a quello abrogativo, sarà valido a prescindere dal numero dei votanti.
Alessandro Martegani