Riparare i danni causati dalla pandemia, ma anche abbattere le differenze sociali, avviare la transizione ecologica, sviluppare infrastrutture, istruzione e ricerca, modernizzare il paese. Sono gli obiettivi che si prefigge il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR) presentato oggi alla Camera dal premier Mario Draghi.
Dopo una non facile trattativa con l’Europa, che aveva chiesto obiettivi più chiari e un accordo maggiormente definito sulle riforme per evitare problemi in futuro, il documento di 337 pagine, completamente rivisto rispetto a quello preparato dal precedente governo, è stato descritto da Draghi una sfida epocale per il paese, una sfida economica ma soprattutto politica e di valori sociali. “Nel piano – ha detto – c’è la misura di quello che sarà il ruolo del paese nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come fondatore Ue e protagonista del mondo occidentale. E' questione non solo di reddito e benessere, ma di valori civili e sentimenti che nessun numero e nessuna tabella potrà mai rappresentare”.
“Ritardi, inefficienze e miopi visioni di parte nel realizzare i progetti – ha aggiunto, rivolto alle forze politiche ed economiche della penisola - peseranno sulle nostre vite, soprattutto su quelle dei più deboli, i figli e nipoti e forse non ci sarà più tempo per porvi rimedio”.
Draghi ha quantificato in 248 miliardi i fondi a disposizione fino al 2032: oltre ai 191 miliardi e mezzo, ci sarà un piano complementare da 30,6 miliardi, e ulteriori 26 “da destinare alla realizzazione di opere specifiche”. "È poi previsto il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione per 15,5 miliardi".
Il piano è diviso in sei missioni: dei 191 miliardi assegnati all’Italia, 87 saranno impegnati dagli enti territoriali, sotto la supervisione del governo, 32 per rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico, 68 per la transizione ecologica, 18 per la tutela della salute, quasi 50 per l’innovazione e la digitalizzazione.
L’impatto dovrebbe portare a un aumento sul Pil nazionaledi circa 16 punti percentuali fino al 2026, che salgono a 24 guardando al solo sud.
Vista l’ampia maggioranza di cui gode il governo Draghi, l’approvazione delle risoluzioni a favore del Piano da parte del Parlamento non è mai stata in discussione, ma i problemi sono tutt’altro che finiti. Oltre alle critiche mosse da parte di esperti e mezzi d’informazione per gli obiettivi, ritenuti ancora troppo vaghi, il vero ostacolo saranno le riforme strutturali richieste da Bruxelles, e annunciate da Draghi su cui non c’è ancora un accordo, ma nemmeno una discussione in atto nel paese, e che riguardano settori a dir poco strategici e delicati come fisco, codice degli appalti, giustizia, concorrenza e pubblica amministrazione.
Alessandro Martegani