È una sensazione che l’Italia e gli italiani avevano provato proprio all’inizio della pandemia: essere additati come il centro e anche l’origine del contagio, con un atteggiamento che va dalla curiosità fino alla diffidenza.
I numeri drammatici di contagi e ricoveri in Slovenia, e il colore rosso scuro assegnato ormai da settimane, hanno attratto l’attenzione dei media nazionali, che hanno scoperto il paese al confine con l’Italia, al quale si fanno risalire, perlomeno parte, le cause dell’aumento dei contagi in Friuli Venezia Giulia.
“La minaccia dei flussi verso l’Italia”, ha titolato qualche giorno fa il Corriere della sera; “La quarta ondata travolge l'Europa: contagi record in Olanda, tasso positività ai massimi in Slovenia”, aggiunge il Messaggero di Roma; “Slovenia e Croazia terre No Vax, boom di casi”, dice l’Huffington post. Su Tv e giornali si moltiplicano i pezzi e i commenti di esperti e inviati che cercano di comprendere come l’epidemia sia andata fuori controllo nel paese al confine con l’Italia e soprattutto con Trieste, la città diventata improvvisamente famosa non per le sue bellezze e le istituzioni scientifiche, ma per i contagi e le manifestazioni no Vax. Le spiegazioni però sono sempre le stesse: misure di prevenzione non rispettate, pochi controlli sui Green pass, ma soprattutto una popolazione che ha solo poco più del 50 per cento dei vaccinati almeno con la prima dose.
Si tratta una situazione riscontrata anche in altri paesi, in particolare all’est: con la Slovenia nella cartina Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control ) in rosso scuro ci sono anche Belgio, Polonia, Paesi Bassi, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia e Ungheria, tutti paesi con una situazione epidemiologica definita “estremamente preoccupante”, ma in questo caso l’interesse viene anche dal fatto che la Slovenia confina con l’Italia e si teme un trasferimento dei dati epidemiologici nel nord est, nonostante le percentuali di vaccinati siano sensibilmente superiori sulla penisola, perfino un Friuli Venezia Giulia, che ha medie più basse di quelle nazionali.
Una tesi ribadita più volte anche dai rappresentanti istituzionali in regione e a Roma e che, a prescindere dalla valutazione della misura con cui impatti sui contagi in Italia, rischia di creare una diffidenza verso chi vive in Slovenia e viene, anche quotidianamente per lavorare, in Italia.
Chi vive e lavora a ridosso del confine riceve telefonate preoccupate o incuriosite da colleghi e parenti, che chiedono come sia la situazione, a chi giunge dalla Slovenia a volte nei locali e nei negozi si richiede maggior rigore nel rispetto delle misure di prevenzione, come se il confine politico fosse rispettato anche dal virus, e anche sulla rete non mancano i commenti, che ricordano quelli che negli altri paesi, anche in Slovenia, si facevano sull’Italia e gli italiani all’inizio del 2020. “Bisognerebbe chiudere i confini”, “tamponi a tutti quelli che vengono in Italia dalla Slovenia”, “non prossimo farci contagiare” sono i commenti che si leggono sotto gli articoli che parlano dell’argomento in rete: gli stessi di due anni fa, solo che lo stato in questione era l’Italia, un paese che oggi ha un alto tasso di vaccinati e numeri molto migliori di ricoveri e positivi, ma che sembra avere sempre poca memoria storica.
Alessandro Martegani