Se l’intento era quello di trovare un metodo condiviso per stabilire i provvedimenti di contenimento dell’epidemia, l’obiettivo non è stato raggiunto. Il nuovo decreto del Presidente del Consiglio, che ha classificato le regioni in tre categorie, con differenti livelli di restrizioni, non è piaciuto praticamente ad alcun governatore, alimentando invece lo scontro con il governo e in particolare con il premier Giuseppe Conte.
I primi a reagire sono stati i governatori delle quattro regioni rosse, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria, sottoposte a un lockdown quasi totale. Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, ha definito il Dpcm “uno schiaffo in faccia alla Lombardia e a tutti i lombardi”, mentre il presidente facente funzione della Calabria, Nino Spirlì, ha parlato di scelta “ingiusta”. Protestano anche le regioni finite in zona arancione, con restrizioni più sfumate ma comunque pesanti per il tessuto produttivo: il presidente della Sicilia Nello Musumeci, ha detto che si tratta di una “scelta assurda e irragionevole”, e anche Michele Emiliano, governatore della Puglia, che per primo aveva chiuso le scuole, non sarebbe d’accordo.
A far discutere sono ancora una volta i criteri utilizzati per assegnare i colori alle regioni, quei 21 indicatori, come l’indice Rt o la capacità di assorbire l’impatto delle strutture sanitarie, sono ormai noti, ma non si sa come vengano elaborati per esprimere una valutazione, che Conte assicura “è e sarà in ogni caso oggettiva”. Le regioni, in particolare quelle governate dal centro destra, sembrano però non fidarsi: “Vogliamo sapere in quale modo il comitato tecnico scientifico analizza e valuta i nostri dati, anche facendo partecipare i nostri tecnici alla valutazione”, aveva detto il governatore della Liguria e vicepresidente della Conferenza delle Regioni, Giovanni Toti.
Alcuni casi non possono non far discutere a partire dalla Campania, regione che aveva anticipato le restrizioni, sottolineando la gravità della propria situazione, ma poi inserita nelle regioni rischio moderato. Paradossalmente però il governatore Vincenzo De Luca non ha esultato, e si appresta a confermare la sospensione della didattica in presenza per le scuole primarie e secondarie. Positiva invece la reazione del Veneto, in zona gialla: il governatore Luca Zaia ha sottolineato come la decisione dimostri che “fino ad ora, il sistema di gestione e il modello sanitario del Veneto hanno tenuto”, invitando però tutti io veneti a continuare con il rispetto delle misure di prevenzione.
La polemica investe però lo stesso meccanismo della trasmissione dei dati, con l’accusa più o meno velata al governo di utilizzare numeri ormai superati per prendere le decisioni, penalizzando regioni che in realtà si stanno stabilizzando e premiandone altre dove invece la situazione è più difficile, e lo scontro è diventato anche politico.
Matteo Salvini ha accusato il governo di voler scaricare le proprie responsabilità sulle regioni. Mentre Giorgia Meloni ha protestato per il mancato coinvolgimento delle opposizioni.
E accanto alle proteste è scattata anche la partita sui cosiddetti “ristori”, le somme che dovrebbero compensare almeno in parte le perdite subite dal tessuto economico a causa delle chiusure: il governo dovrà approvare un nuovo scostamento di bilancio, inserendo anche categorie indirettamente colpite dalle chiusure, come i fornitori dei ristoranti o il trasporto. I governatori, che già avevano criticato il governo per essere stati esclusi dalle decisioni, ora vogliono garanzie sul piano finanziario e hanno già chiesto l’esenzione dal pagamento delle tasse per le categorie colpite per l’anno in corso e il prossimo.

Alessandro Martegani

Foto: MMC RTV SLO
Foto: MMC RTV SLO