Foto: MMC RTV SLO/Foto: Pixabay
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Il Tribunale di Bologna sul decreto "Paesi sicuri" del governo italiano chiede, sostanzialmente, se debba prevalere la normativa comunitaria oppure la legislazione italiana, visto che il provvedimento è stato redatto per definire con una norma primaria ciò che fino a poche settimane prima era definito da un decreto interministeriale, con l'obiettivo di rendere operativi i centri di identificazione in Albania.

Questa richiesta ha fatto nuovamente esplodere le polemiche politiche in Italia ed, in particolare, il vicepremier Matteo Salvini ha attaccato pesantemente i giudici felsinei.

"Se qualcuno, invece di essere in tribunale, si sente nella sede di Rifondazione comunista, si tolga la toga, si candidi alle elezioni e faccia politica", afferma il leader della Lega, che prosegue affermando: "Non possono esserci giudici che smontano la sera quello che altri fanno la mattina. Siamo anche stufi di lavorare, come ci chiedono i cittadini, per portare più sicurezza, per avere poi qualche giudice comunista, questo è, che ritiene che i confini non servano e che le leggi non servano, e che ognuno ha diritto a fare quello che vuole".

Il Tribunale di Bologna, in pratica, chiede dei chiarimenti su due questioni: quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria.

Una richiesta, come ha detto il presidente del Tribunale, Pasquale Liccardo, che ha soprattutto l'obiettivo dell'applicazione uniforme del diritto dell'Unione Europea.

Il quesito inviato alla UE si basa proprio sulla definizione di "paese sicuro", contestando il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze minacciate e perseguitate.

Lo spirito del decreto, suggerisce il tribunale, avrebbe il carattere di "un atto politico, determinato da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del Paese designato".

Davide Fifaco