Il referendum sulla legge elettorale sostenuto dalla Lega non è ammissibile, perché “eccessivamente manipolativo”.
Lo ha deciso la Corte Costituzionale dopo avere esaminato la richiesta proposta da otto consigli regionali (Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria), tutti guidati dal centro-destra, e sostenuta dal partito di Matteo Salvini, che aveva presentato una proposta di referendum abrogativo su alcune parti dell’attuale legge elettorale, il Rosatellum, con l’intento di eliminate la correzione proporzionale e arrivare a un maggioritario puro.
Secondo la Corte, che avrebbe però preso la decisione a maggioranza, l’abrogazione di alcune parti avrebbe prodotto una legge elettorale inapplicabile, e i proponenti, nel tentativo di rimediare, avrebbero citato anche la legge delega di revisione dei collegi elettorali relativa al taglio dei parlamentari, da qui la definizione di “eccessivamente manipolativo”.
La decisione è stata accolta con disappunto dalla Lega, che lavora per ottenere una legge maggioritaria: “È il vecchio sistema che si difende – ha detto Matteo Salvini - Pd e M5S sono e restano attaccati alle poltrone. Noi – ha aggiunto - non ci arrendiamo, anzi rilanciamo e chiederemo agli italiani le firme per eleggere direttamente il Capo dello Stato”.
Di opinione opposta Movimento 5 Stelle e Pd, che puntano invece ad approvare una legge proporzionale, anche se con una soglia di sbarramento, per dare rappresentatività alle Camere. “Un altro bluff di Salvini è caduto – ha detto il segretario del Pd Nicola Zingaretti -ora avanti per cambiare davvero l'Italia”.
Uno scontro che s’inserisce nella campagna elettorale per il voto di domenica 26 in Emilia Romagna e Calabria: in particolare la sfida in Emilia Romagna, dove la Lega punta a strappare la guida della regione al centro sinistra, viene indicata come una sorta di prova di tenuta per la maggioranza giallo rossa. Un crollo dei 5 Stelle e la perdita del controllo della regione da parte del Pd, potrebbero avere ripercussioni sulla già precaria stabilità della coalizione Pd – 5 Stelle.
Alessandro Martegani