“Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla 'collaborazione egiziana' che invece è totalmente inesistente". È il commento di Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio (il ricercatore dell’università di Cambridge scomparso il 25 gennaio del 2016 e ritrovato senza vita dopo aver subito giorni di torture il 3 febbraio), alla visita in Egitto del ministro degli esteri Antonio Tajani.
Quella di Tajani al Cairo era la prima visita bilaterale in Egitto di un ministro degli Esteri italiano negli ultimi cinque anni, un gelo diplomatico causato in parte proprio dal caso Regeni. Tajani aveva incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi che, accanto a temi come la cooperazione energetica e la sicurezza nel Mediterraneo, avrebbe dato al ministro italiano “rassicurazioni di una forte collaborazione sui casi Regeni e Zaki”.
Una rassicurazione che però contrasta con i fatti, e con l’inerzia, se non addirittura il depistaggio del Cairo nelle indagini sull’omicidio del ricercatore di Fiumicello, nonostante sia ormai appurato che i responsabili delle torture e della morte di Regeni siano i servizi egiziani.
Una situazione ribadita anche dai genitori di Giulio, da anni impegnati nella lotta per la ricerca della verità: “Da tempo – hanno detto intervistati dal quotidiano la Repubblica - ci aspettiamo un 25 gennaio diverso, con dei risultati concreti, ma purtroppo oltre ad aver dovuto imparare a decodificare gli avvenimenti o non avvenimenti, siamo ormai preparati anche all'inerzia-incoerenza della politica".
“Non abbiamo aspettative, noi pretendiamo verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla 'collaborazione egiziana' che invece è totalmente inesistente”. “Un Paese che vuole essere democratico, dovrebbe anche sapere fare delle scelte - concludono -, e la realpolitik non può sconfinare nella complicità con i dittatori”.
Alessandro Martegani