Conclusa l’analisi del voto, e mentre Fratelli d‘Italia pensa a come organizzare la nuova maggioranza e il nuovo governo, è tempo della resa dei conti per le forze uscite con le ossa rotte dalle ultime elezioni. Gli occhi sono puntati soprattutto su Pd e Lega, due partiti che per motivi diversi, sono indicati come quelle uscite peggio dall’ultima tornata elettorale.
Il Pd ha già virtualmente aperto il cammino verso il congresso, Enrico Letta ha già detto che non si ricandiderà alla segreteria ed è già scattato il toto segretario, ma per uscire da una crisi di consenso che l’ha portato a perdere delle elezioni e soprattutto il contatto con la base e con il paese, servirà ben più di un cambio al vertice. Si parla di una rifondazione, e non mancano gli scambi di accuse.
È il caso del Friuli Venezia Giulia dove il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Russo ha chiesto senza mezzi termini alla capogruppo alla Camera uscente e numero due del partito, Deborah Serracchiani, di farsi da parte, ricevendo però, accanto a un appello all’unità, anche un risposta piccata, con Serracchiani che ha accusato Russo di non aver accettato la mancata candidatura. “Da chi riveste ruoli istituzionali e politici di primo rango nel partito – ha detto Serracchiani - mi aspetto che contribuisca con proposte, non solo che giudichi gli altri come un osservatore esterno, “autoassolto” da ogni responsabilità”.
Uno stile differente rispetto alla Lega dove pur ci sono malumori nemmeno troppo celati verso le decisioni del segretario nazionale Matteo Salvini. Nella prima conferenza stampa dopo il voto Salvini aveva addebitato gran parte della responsabilità del risultato che ha visto i consensi del Carroccio più che dimezzati rispetto al 2018, alle scelte dei dirigenti del partito e alla permanenza nel governo Draghi, ma i dissidi sono stati rapidamente riportati all’interno delle segrete stanze della Lega, che ha discusso in una direzione nazionale a porte chiuse, per poi confermare la fiducia nel segretario, pur accelerando sul percorso congressuale.
L’impressione è che in questa fase, con le trattative per il governo da avviare e le elezioni regionali del prossimo anno, nessuno voglia destabilizzare il partito, ma rimane il fatto che a Salvioni molti imputano il pessimo risultato, e anche l’aver abbandonato temi cari al nord come l’autonomia, e la sua la leadership sembra irrimediabilmente compromessa: per lui si parla di un posto da ministro, ma si dibatte anche sui suoi successori, con i nomi dei governatori di Veneto e Friuli Venezia Giulia, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, fra i candidati più accreditati per prendere in mano le redini di un partito in crisi di consensi ma anche d’identità.
Alessandro Martegani