L’estate è ancora lontana, ma il tema delle spiagge italiane è più caldo che mai. Scoppiata nel paese nel corso del governo Draghi, che aveva deciso di dare seguito alle richieste dell’Europa, la questione delle concessioni balneari, vale a dire dei permessi che consentono ai gestori degli impianti di utilizzare le spiagge demaniali, si trascina in Italia dal 2006, quando fu approvata la direttiva Bolkestein, che, fra le altre cose, imponeva di assicurare la concorrenza nell’assegnazione delle spiagge con gare internazionali.
Per decenni in Italia le spiagge erano state assegnate in proroga ai precedenti gestori, fra l’altro il più delle volte con canoni irrisori. Secondo la Corte dei Conti, nel 2020 lo Stato ha incassato 92 milioni e 566mila euro per 12.166 concessioni: in media poco più di settemila euro a concessione in un anno, a fronte di un giro d’affari stimato in 15 miliardi di euro.
Le gare, oltre a garantire parità di condizioni, dovrebbero quindi assicurare maggiori entrate allo Stato, ma la volontà di applicare la direttiva ha incontrato le resistenze da parte degli attuali gestori degli impianti balneari, mentre le forze politiche che sostengono il governo Meloni, che pur in campagna elettorale e negli anni precedenti si erano schierate contro la direttiva, ora non sembrano più così determinate.
Il termine ultimo per le proroghe agli attuali gestori è fissato al 31 dicembre 2023, grazie a una sentenza del Consiglio di Stato che bloccò una proroga fino al 2033 disposta dal primo governo Conte, sostenuto da 5 Stelle e Lega.
La stessa premier Giorgia Meloni aveva ribadito la volontà di difendere le imprese, ma l’ipotesi della proroga è stata esclusa dalla stessa maggioranza, e nel corso delle trattative con i titolari delle concessioni è apparsa sempre più evidente la necessità di dare vita alle gare pubbliche per evitare una procedura d’infrazione, che l’Unione europea ha ad esempio già avviato in Portogallo, ribadendo che “cittadini e imprese hanno diritto a una procedura trasparente, imparziale e aperta al momento di decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di usare il suolo pubblico, in questo caso le spiagge”.
Su questa linea anche i sindacati: “Le concessioni balneari vanno assegnate con gare trasparenti perché non si può tollerare ancora nel 2023 che un bene dello Stato sia gestito con logiche consuetudinarie, difendendo posizioni di privilegio di fatto e impedendo a nuove imprese l’accesso in un settore economico” hanno detto i segretari del Friuli Venezia Giulia della UIL, Matteo Zorn, e della UILTuCS Matteo Calabrò, chiedendo che il governo e il Parlamento “smettano di tentennare”.
Le nuove concessioni devono avere una lunghezza adatta per dare spazio e prospettive agli investimenti e allo sviluppo degli stabilimenti, e soprattutto perché vengano tutelati i diritti di lavoratrici e lavoratori del turismo, tra i più colpiti dalla precarietà, sottolineano Zorn e Calabrò. “Il limbo in cui viene costretto il settore delle concessioni balneari da oltre 15 anni, con promesse elettoralistiche, interpretazioni mutevoli, fughe in avanti e ritirate su rinnovi e durate – concludono i segretari di UIL e UILTuCS del Friuli Venezia Giulia – ha creato più danni reali di quanti avrebbe potuto mai provocare la più pessimistica interpretazione della direttiva europea sulla concorrenza”.
Alessandro Martegani