"Ma chi sarà questo Paolovi, del quale non ho sentito parlare?" si chiese stupito una volta Mike Bongiorno a proposito di papa Paolo VI durante una puntata di Rischiatutto. Una gaffe memorabile. Non la sola del re del telequiz con i numeri romani. In un'altra occasione lesse "Pio x" invece di "Pio Decimo". Ammettiamolo, a leggere i numeri romani, soprattutto se le combinazioni sono un po' complicate, si fa lievemente più fatica, e proprio questo ha spinto adesso il museo Carnavalet di Parigi, il museo dedicato alla storia della città, a decidere di abbandonarli in favore di quelli arabi nelle didascalie delle opere. Una scelta su modello di quanto già fatto dal Louvre, che non usa più i numeri romani per indicare i secoli, mentre li ha mantenuti per re e regine. "Per non creare ostacoli alla comprensione dei visitatori", ha spiegato la direzione del Carnavalet, prossimo a riaprire dopo quattro anni di lavori. Nelle scritte esplicative di dipinti, ritratti, sculture si leggerà d'ora in poi ad esempio Luigi 14° anziché Luigi XIV. Ma non tutti plaudono, anzi. Fior di intellettuali, e non solo in Francia, hanno gridato allo scandalo, puntando il dito sull'appiattimento culturale in cui sta precipitando il mondo: non sarebbe meglio - si obietta - insegnare i numeri romani, invece che abolirli? Meno vengono usati, meno persone sono in grado di comprenderli. Insomma, si sostiene, c'è un'altra strada: la difesa della promozione della conoscenza come alternativa alla banalizzazione e all'impoverimento della cultura di massa. Di cui la rinuncia ai numeri romani, eredità della cultura classica, altro non rappresenterebbe che "la perfetta sintesi".
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