Si chiama legge 230 del 1996, e per 27 anni ha protetto grandi società come Instagram, Facebook, Google, Twitter e anche Wikipedia dalle possibili azioni legali contro i contenuti pubblicati dagli utenti. La normativa era nata agli albori del web e dei social, principalmente per proteggere le società da possibili ricorsi sui contenuti a sfondo sessuale, ma con il tempo i social e il web sono stati sfruttati da organizzazioni terroristiche, utenti che inneggiavano al razzismo, alla violenza di genere, ai crimini d’odio, solo per citare alcuni esempi. Contenuti che hanno, se non causato, perlomeno agevolato anche azioni violente, se non omicidi e attacchi terroristici con esiti tragici.
Negli Stati Uniti tutto questo non può avere alcuna ricaduta su chi ha pubblicato i contenuti, ma la Corte suprema sembra poter cambiare pagina dopo quasi trent’anni. Un cambiamento della normativa è stato richiesto alla Corte Suprema da 28 Stati e la prossima settimana, in due giornate, i giudici ascolteranno alcuni familiari delle vittime di alcuni attacchi terroristici che accusano Google e Twitter di aver "aiutato" l'Isis pubblicandone la propaganda. Tra loro la famiglia di Nohemi Gonzalez, la studentessa americana di 23 anni uccisa dai jihadisti a Parigi negli attentati del 13 novembre del 2015.
Si tratta però di un tema delicato, perché tocca uno dei pilastri della democrazia americana, e del mondo di Internet, vale a dire le libertà di espressione. Un punto su cui batteranno le società del Web che considerano al legge 230, che si limita a incoraggiare le aziende del web a moderare i propri contenuti, inviolabile.
Alessandro Martegani