Foto: Reuters
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Il procuratore capo della Corte, Karim Khan ha formalizzato la richiesta di emissione di mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant e di altri tre esponenti del movimento paramilitare, tra cui Mohamed Deif, in qualità di Comandante delle Brigate Al-Qassam, Ismail Haniyeh come Capo dell'ufficio politico del gruppo e Yahya Sinwar come leader di Hamas. Secondo le accuse, i soggetti, rivestendo ruoli di comando, avrebbero concorso alla commissione di crimini di guerra, tra cui l'evento del 7 ottobre, e contro l'umanità, perpetrando un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile di Gaza. Secondo i giudici gli imputati avrebbero deliberatamente privato la popolazione di beni essenziali, tra cui cibo, acqua, medicinali. Le richieste di mandato di arresto per Haniyeh e Sinwar sono state ritirate dal tribunale, in quanto deceduti. Nel caso di Deif, invece, la Corte dichiara di non poter affermare con certezza che sia stato ucciso poiché non ha prove sufficienti per dimostrarlo. È stato inoltre stabilito un preciso periodo entro cui si sono consumati i reati oggetto d'indagine, individuando un lasso compreso tra l'8 ottobre 2023 e almeno il 20 maggio 2024. Tale circostanza delinea un quadro di gravissime violazioni del diritto internazionale umanitario. La Corte penale internazionale in questo caso, pur avendo il potere di emettere ordini di cattura internazionali, si trova di fronte a significative limitazioni nell'attuazione pratica delle proprie decisioni. La dipendenza dalla cooperazione degli Stati membri, infatti, rende l'esecuzione dei mandati soggetta alla discrezionalità politica dei singoli governi. Israele, non essendo parte dello Statuto di Roma, costituisce un evidente ostacolo all'esercizio della giurisdizione della Corte. L'immunità di cui gode Netanyahu, in qualità di Primo Ministro israeliano, rende inattuabile il mandato di arresto, dimostrando i limiti della giurisdizione penale internazionale quando si confronta con Stati non cooperativi.

Alessia Mitar