A un mese esatto dall’attacco della Russia all’Ucraina e dalla chiusura della Borsa per evitare un crollo del settore finanziario russo, ripartono le contrattazioni a Mosca, sia pur parzialmente e con molte limitazioni.
Le contrattazioni erano state sospese lo scorso 24 febbraio, quanto i listini complessivamente avevano lasciato sul terreno il 33 per cento, bruciando oltre 190 miliardi di dollari in una sola seduta: i primi scambi questa mattina hanno girato subito in positivo fino al 10 per cento, poi ridotto al 5, ma l'indice Rts, che include 50 titoli quotati in dollari, ha perso il 4 per cento. Le contrattazioni sono state riaperte solo per 33 azioni russe, in gran parte i colossi a partecipazione statale, e 10 azioni e certificati di deposito su azioni di società internazionali che svolgono le loro attività nella Federazione Russa, mentre “la ripresa della distribuzione dei restanti indici azionari - ha comunicato il gestore della borsa - sarà annunciata a tempo debito".
Si tratta, dunque, di un avvio molto prudente, con un divieto fra l’altro delle vendite allo scoperto e con interventi di sostegno da parte dei fondi di investimento governativi.
In Europa intanto si cercano contromisure alla nuova mossa a sorpresa di Vladimir Putin, che ha annunciato di volere il pagamento del gas fornito al vecchio continente in rubli: per ora i contratti garantirebbero il pagamento in euro e dollari, a meno di una rinegoziazione, ma la mossa del numero uno di Mosca è una nuova prova di forza, che punta a sostenere la moneta russa, che si è immediatamente risollevata nel confronto con il dollaro dopo l’annuncio, e in parte anche ad aggirare le sanzioni che al momento non consentono pagamenti nella moneta russa. Per pagare in rubli i governi europei dovranno rivolgersi a banche e istituzioni russe iniettando valuta forte nel paese, che potrebbe poi esser utilizzata per pagare il debito russo.
In un contesto di più ampio respiro poi, la volontà di imporre il rublo come strumento di pagamento internazionale potrebbe non dispiacere a molti paesi asiatici e sudamericani, che non vendono di buon occhio il monopolio del dollaro nei pagamenti internazionali.
Si tratta però anche di una mossa molto rischiosa, un nuovo braccio di ferro che potrebbe portare ad un’ulteriore riduzione, se non alla chiusura, dell’interscambio di gas fra Russia ed Europa, ipotesi chiesta esplicitamente dagli Stati Uniti, ma che lascerebbe il vecchio continente senza il 40 per cento del gas di cui ha bisogno, con la possibilità d’innescare una recessione.
Alessandro Martegani