Pubblicato dalla Royal Society, lo studio di Oxford ha utilizzato i dati di quasi un milione di persone in 72 Paesi dal 2008 al 2019 ed ha sfruttato i dati di utilizzo individuale di milioni di utenti di Facebook in tutto il mondo, per analizzare l'impatto della piattaforma sul benessere degli utenti.
Spesso si parla di impatto negativo dei social media, ma la ricerca dell'Oxford Internet Institute non ha riscontrato correlazioni sul fatto che la diffusione di Facebook sia effettivamente legata in maniera nociva al benessere degli utenti. Anzi, in certi casi sono stati riscontrati alcuni effetti positivi, in particolare tra i giovani di diversi Stati. Un risultato sorprendente, che appare in forte contrasto con molti altri lavori accademici, come quello pubblicato dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit) quasi un anno fa, secondo cui l'uso dei social media, ed in particolare di Facebook, "provoca un declino della salute mentale", con un aumento dei casi di ansia e depressione.
"Per comprendere meglio, abbiamo collegato i dati relativi all'adozione globale di Facebook con tre indicatori di benessere: soddisfazione di vita, esperienze psicologiche negative e positive", hanno spiegato i ricercatori, secondo cui "non sono emerse prove di associazioni negative e in molti casi sono state riscontrate correlazioni positive tra Facebook e gli indicatori di benessere".
Ciò non significa che questa sia la prova che Facebook sia positivo per il benessere degli utenti, ma semplicemente che i dati non supportano l'idea che l'espansione dei social media abbia un'associazione negativa con il benessere in tutte le nazioni e in tutte le fasce demografiche.
I ricercatori hanno anche analizzato le differenze legate all'età e al sesso, scoprendo che l'associazione tra l'adozione di Facebook e il benessere era leggermente più positiva per i maschi che per le femmine, in tutte le misure di benessere, ma queste tendenze non erano significative.
Facebook non ha commissionato né finanziato lo studio, ma ha partecipato alla fornitura dei dati.
Davide Fifaco