Già in difficoltà prima della crisi coronavirus, con l'arrivo del COVID19 l'economia della Turchia è oggi di fronte a un periodo di grave incertezza che mette sotto forte pressione il regime autoritario del presidente Recep Tayyp Erdoğan. Disoccupazione in aumento, riserve monetarie in rapida discesa e una lira turca sempre più debole sui mercati, dopo aver toccato la soglia psicologica delle sette lire per un dollaro. Non è un ritratto in salute quello dell'economia turca ai tempi del coronavirus.
A dire la verità, molti indicatori economici nel paese destavano preoccupazione anche prima dello scoppiare dell'epidemia, che in Turchia fa oggi registrare almeno 135mila contagiati e quasi 3700 vittime.
Ma se le autorità di Ankara, almeno fino ad oggi, sono riuscite a gestire gli aspetti prettamente sanitari del COVID19, le risposte in campo economico del presidente Recep Tayyp Erdoğan e del suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, che domina la scena politica turca da più di diciotto anni, è finora poco convincente.
Erdoğan ha adottato un lockdown ibrido, decretando la chiusura bar, ristoranti e molti negozi, ma lasciando in funzione i grandi comparti produttivi e l'industria delle costruzioni, attirandosi le accuse dei critici di pensare prima all'economia che alla salute dei cittadini.
Il crollo dell'industria turistica, fattore portante nell'economia turca, rischia però di esacerbare la situazione: insieme ad un forte debito estero, Ankara ha speso buona parte delle proprie riserve per sostenere la lira, che però da inizio 2020 ha perso comunque il 14% del proprio valore.
Erdoğan ha rifiutato prestiti dall'FMI, ma sta valutando altri possibili creditori, tra cui gli Stati Uniti: il presidente è consapevole che per il suo regime autoritario la crisi economica è più pericolosa dell'opposizione politica.
Francesco Martino