In vista della ripresa delle trattative commerciali tra i due Paesi e in occasione del 70-esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il presidente americano Donald Trump, come gesto di buona volontà, ha accolto la richiesta del Vice Premier della Cina Liu He, il capo-negoziatore della potenza asiatica nel confitto commerciale con Washington, di spostare l'incremento dei dazi su 250 miliardi di dollari di merci, dal 25% al 30%, dal primo al 15 ottobre.
L'incertezza rimane tuttavia elevata. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina minaccia di aggravare i rischi per un'economia globale e americane in frenata, dove affiorano indebolimenti del settore manifatturiero, tra i più esposti a shock su catene globali di forniture e produzione, e arretramenti della generale fiducia di imprese piccole e grandi. Le recenti escalation hanno già visto gli Stati Uniti far scattare dal primo settembre dazi del 15% su circa 111 miliardi di dollari di made in China. Altri 156 miliardi di dollari di importazioni, comprendenti smartphone, giocattoli e abbigliamento, saranno colpiti da altrettante penali da metà dicembre. Pechino ha risposto con rappresaglie e Trump ha rilanciato ancora, fino a ordinare alle aziende americane di abbandonare la Cina, minacciando altrimenti di punirle. Un’escalation, che ha scosso il business e i mercati.
Il gesto distensivo di Trump non è unilaterale, e arriva a 24 ore da quello di Pechino che ieri ha reso note due liste di prodotti americani che saranno esenti da ritorsioni a partire dal 17 settembre. Le poche parole su Twitter da parte del presidente americano, su una tregua commerciale con la Cina, potrebbero, il condizionale è d'obbligo, aprire nuove opportunità anche all'export dei Paesi europei.
Corrado Cimador