Un passaggio di consegne poco più che tecnico, senza eccessivi formalismi se non l'esibizione della banda musicale delle forze armate slovene, ha segnato il cambio della guardia al ministero della Difesa. Il 46enne Šarec lascia così la scena politica interna per quella europea. Dopo il ballottaggio per le presidenziali, perso contro Borut Pahor, Šarec tramite una lista che portava il suo nome, ora confluita in Movimento Libertà, diede vita a un esecutivo di minoranza con la solita formula di un raggruppamento anti-Janša. La pandemia accelerò la fine della sua parabola governativa, non di quella politica. Golob, infatti, ha voluto affidargli un ministero delicato nonostante non avesse ottenuto alcun seggio. E Šarec ha ripagato la fiducia rimanendo sempre al lavoro con il profilo basso. L'eseprienza da capo del governo deve essergli stata buona consigliera, anche perché le sue dichiarazioni, così come le apparizioni pubbliche, si contano col contagocce, come testimonia anche la decisione di non rilasciare alcun comunicato ufficiale di commiato. Nei due anni al ministero, l'ex sindaco di Kamnik ha messo in moto la macchina per l'ammodernamento delle forze armate, in linea con l'obiettivo del 2% del Pil voluto dalla Nato, lontano poco meno di due terzi di punti. E proprio al vertice di Washington dell'Alleanza atlantica, Šarec e Golob hanno avuto modo di confrontarsi sui temi più urgenti. Già la prossima settimana il premier avvierà colloqui per identificare il nuovo responsabile, poiché i dossier delicati sono diversi, dall'acquisto di autoblindo a otto ruote dal produttore finlandese di veicoli militari Patria, ai fondi per il sostegno all'Ucraina, fino al recente accordo con produttori francesi. Tutte questioni che Šarec ha saputo gestire con discrezione, ma che potrebbero sfuggire di mano se la presa sugli stessi dovesse essere allentata.
Valerio Fabbri