Nel complesso panorama digitale e mediatico di oggi è necessario essere in grado di difendersi al meglio dalla disinformazione. È in questo contesto che l'alfabetizzazione mediatica può dare i suoi frutti, perché rafforza il pensiero critico e aiuta a orientarsi di fronte alle informazioni, in particolare online, e a individuare e contrastare la disinformazione. Secondo gli esperti che si sono confrontati sotto gli auspici della Casa dell'Ue a Lubiana, sul banco degli imputati ci sono innanzitutto i social network, strumenti ottimizzati dal numero dei click dove non tutti godono delle stesse opportunità. Il direttore del Centro sloveno per la sicurezza cibernetica, Gorazd Božič, ha ricordato che il problema non è la mancanza di legislazione, ma la sua scarsa e poco efficace realizzazione. Anche perché le norme sono intese per regolare il comportamento umano, che però nella nostra contemporaneità è dettato sempre più da algoritmi privi di moralità. Il problema non è ascrivibile solo alla tecnologia, ma anche a un colpevole ritardo dei media tradizionali. La questione, in fondo, è antica come l'uomo: le menzogne, le fake news non sono un problema tecnologico, ma culturale. La troppa informazione cui veniamo sottoposti ha creato quello che gli inglesi chiamano "rumore bianco", che ci distrae e ci fa perdere di vista i punti cardinali della dieta mediatica. Secondo una recente indagine, l'86% dei cittadini dell'Unione europea ritiene che la rapida diffusione della disinformazione sia un grave problema per la democrazia. Per resistere alla disinformazione è cruciale aiutare le persone di tutte le età a orientarsi nel mondo delle notizie e a prendere decisioni informate.
Valerio Fabbri