Dopo Franco Juri anche Daniela Paliaga ha voluto esprimere pubblicamente la sua posizione riguardo la polemica che sta coinvolgendo la CAN di Capodistria, che lei definisce in una lunga missiva “un conflitto sul principio fondamentale della democrazia”, ossia sulla “libertà di opinione”.
La Paliaga ricorda che dopo il 1990 “quando nel nuovo stato nascevano i diversi partiti, la CNI scelse di restare “ancorata alle CIA (Comunità d’Interesse Autogestite) trasformandole" nelle odierne CAN, che, con il loro inserimento “nella Costituzione” (allora considerata una "grande conquista"), divennero “parte dell’apparato burocratico dello stato”. Le CAN, dice la Paliaga “non sono dunque forme spontanee di organizzazione, come i partiti (…) e forse questo” per lei, insieme a qualche altro punto “dovrebbe essere riveduto e modernizzato”, visto che il mondo è cambiato anche per la CNI”.
A partire da ciò “la replica di Scheriani” alle critiche giunte in questi giorni, in cui è stato detto che “chi viene eletto rappresenta tutti gli elettori e non soltanto quelli che lo hanno votato” stimola secondo la Paliaga alcune riflessioni. “I consiglieri comunali vengono eletti direttamente dal bacino della CNI “, spiega, “e ognuno si presenta con il proprio programma e può fare squadra o essere indipendente”. “Pare”, però, e questa parola viene sottolineata nel testo, che gli statuti delle CAN comunali e di quella costiera “prevedano l’obbligo di votare in consiglio comunale come deciso dalla maggioranza qualificata della CAN” e quindi “se un consigliere non condivide” le decisioni prese “non può esprimere in autonomia il suo voto e il suo punto di vista”. La Paliaga, perciò afferma di condividere l’opinione espressa in precedenza da Franco Juri che tutto ciò rappresenta “un evidente retaggio del centralismo democratico”, che “serviva per eliminare le voci dissenzienti della ‘base’”.
Per questo esprime la sua “solidarietà alla consigliera Ondina Gregorich Diabaté, che secondo lei “ha parlato nel luogo deputato” e “ha dato voce a chi come lei ci tiene alla toponomastica della città, della regione dove è nata”. “Istria o Istria slovena” non sono “la medesima cosa” neanche per la Paliaga, che concorda, quindi, con coloro che rifiutano la dicitura “Istria slovena”. La toponomastica è, infatti, per lei “uno dei settori dove di più la comunità ha sentito la violenza e lo spregio nei confronti” del proprio territorio di insediamento storico, prima in Jugoslavia e ora anche in Slovenia dove conclude “non è cambiato quasi nulla”.
Barbara Costamagna