Trieste, nonostante sia nel titolo, è solo vista da lontano, nella sua luminosa bellezza in una notte serena dal ciglione carsico. Il punto di arrivo del viaggio che i protagonisti di questo documentario hanno affrontato o aspettano di affrontare per raggiungere l’Italia partendo dall’Afghanistan e dal Pakistan.
Il “game”, così viene chiamato dai migranti è il lungo cammino che devono percorrere sulla rotta balcanica, dalla Bosnia sino all’Italia attraverso Croazia e Slovenia. Una vera e propria lotteria, i cui biglietti vengono distribuiti dai trafficanti, il cui esito non è certo; visto che molti devono ripetere il viaggio più e più volte, a causa dei respingimenti ai quali l’Italia regolarmente sottoponeva i migranti, anche se richiedevano la protezione internazionale fino al gennaio 2021, quando una causa intentata da uno di essi contro lo Stato italiano ebbe esito positivo, bloccando questo procedimento attraverso il quale chi veniva preso dalla polizia nelle vicinanze del confine era rimandato, con un meccanismo di scarica barile con Slovenia e Croazia, nel primo paese al di fuori del confine Schengen e quindi la Bosnia, nonostante non ci fosse alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani.
Un gioco crudele, che sembrerebbe essere stato fermato attraverso l’intervento dei tribunali, ma che rischia di riprendere con le stesse modalità, visti i continui tentativi da parte del governo italiano, anche dell’attuale, di rimettere in campo la modalità dei respingimenti, pratica della quale non si è mai riconosciuta pubblicamente l’illegittimità.
Con il ripristino dei controlli di frontiera tra Italia e Slovenia il quadro è tornato oscuro, ha detto Gianfranco Schiavone dell’ICS, proprio perché non c’è stata alcuna rielaborazione di quello che è accaduto e men che meno un’ammissione delle proprie colpe da parte del governo italiano; ma neanche dagli altri stati coinvolti in questa rete informale coordinata tra Italia, Slovenia e Croazia con il beneplacito dell’Unione europea.
Un film, quello presentato questa sera, che intende, quindi, tenere accesi i riflettori su queste vicende, in un periodo in cui si sta facendo strada un discorso di controllo coercitivo di questi fenomeni, da fare di nascosto, e magari lontano dai propri confini (basta pensare all’accordo tra l’Italia e l’Albania), trasformando degli esseri umani in fantasmi destinati a ripetere all’infinito “il gioco” in uno scenario da futuro distopico dove i diritti rischiano di diventare miraggi per tutti come le luci di Trieste viste dal Carso, la cui visione, uno dei protagonisti del documentario, definisce, prima dell’arrivo della polizia, uno dei momenti più belli della sua vita.
Barbara Costamagna