Per chi abbia almeno cinquant'anni il pittore Antonio Ligabue ha lo sguardo stralunato dell'attore Flavio Bucci, che gli prestò il volto in un celebre sceneggiato degli anni Settanta, uno dei più grandi successi televisivi. Tuttavia non sono troppo frequenti le occasioni di vederne esposta l'opera, almeno in quel Nord est a cui l'artista italo-svizzero, il genio naif, il matto, come lo chiamavano, quello delle belve feroci e degli autoritratti, è legato per nascita, essendo figlio di una bellunese (che presto lo abbandonò). Ecco ora per la prima volta a Padova una bella mostra che espone dipinti, disegni e sculture, ma anche molti documenti privati mai prima d'ora presentati al pubblico, realizzata in collaborazione con la Fondazione Museo Antono Ligabue e il Comune di Gualtieri (in provincia di Reggio Emilia), il paese della Bassa Padana dove il pittore nato a Zurigo nel 1899 era approdato a vent'anni dopo essere stato espulso dalla Svizzera, rimanendovi sino alla morte avvenuta nel 1965. Una vita, quella di Antonio Ligabue, segnata dalla sofferenza e dall'emarginazione fin dalla infanzia tragica, rinchiuso più volte in manicomio, incompreso e spesso deriso salvo rari estimatori sino alla tardiva consacrazione della sua arte con l'esposizione romana del 1961. La mostra agli Eremitani è declinata per temi principali, dagli autoritratti agli animali, al lavoro nei campi, ai mondi lontani ed esotici scaturiti dallo sfogliare libri. Tra i dipinti anche alcuni prestiti, meno conosciuti, da collezioni private padovane e sculture in bronzo nate da quelle originali in bronzo che Ligabue realizzò in creta adoperando l'argilla delle sponde del Po.
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