"Il governo continuerà a svolgere le attività correnti fino alla fine del mandato, ma io mi dimetto" ha dichiarato con tono emozionato Miro Cerar. A provocare la decisione sono stati vari recenti sviluppi, ma "la goccia che ha fatto traboccare il vaso" – parole sue - è stata la sentenza della Corte suprema che ieri ha invalidato l'esito del referendum sul secondo binario della tratta Capodistria-Divača, uno dei progetti chiave nel mandato del governo uscente. "Da più parti si vuole attribuire al Paese un'immagine distorta dove non vi sarebbe alcuna crescita e dove il governo prenderebbe decisioni illegali« - ha detto il primo ministro - che rivendica invece al suo esecutivo importanti risultati, a partire da un netto miglioramento del quadro finanziario: »Dopo aver ereditato una situazione pesante, in tre anni e mezzo di governo siamo terzi in Europa per crescita economica, abbiamo il tasso di disoccupazione più basso dal 2009 in qua, il debito estero quest'anno scenderà dall'80 al 70 %, abbiamo portato in Slovenia importanti investimenti dall'estero, stavamo cominciando a realizzare il raddoppio ferroviario.
Complice del clamoroso annuncio anche il mancato accordo con i sindacati nel settore pubblico. "Ognuno guarda solo ai propri interessi invece di ambire al bene comune" è stato il commento del presidente del governo che non ha lesinato critiche nemmeno ai partner di coalizione; invece di sostenere il lavoro dell'esecutivo, spesso lo avrebbero ostacolato. Oggi Cerar formalizzerà le sue dimissioni incontrando il presidente della Repubblica, Borut Pahor. Sarà il Capo dello stato poi a decidere se indire elezioni anticipate o restare sulla data del 10 giugno indicata nei giorni scorsi dalla maggioranza dei gruppi parlamentari.