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- Periodo di transizione esteso almeno fino al 2020, con la conservazione dello status quo nei rapporti tra Unione Europea e Gran Bretagna. Londra tuttavia non avrà più potere decisionale a livello Comunitario.
- Diritti garantiti per 4 milioni di persone, 3 dei quali cittadini comunitari residenti in Gran Bretagna e 1 milione di britannici nell'Unione. Lo stesso trattamento si applicherà a chi si trasferirà durante tutto il periodo di transizione.
- Confine fluido con l'Irlanda, cioè congelamento della situazione odierna.
- Sul piano finanziario, Londra onora tutti gli impegni presi fino al 2020, andando oltre se il periodo di transizione viene esteso.

Questi sono i punti principali dell'accordo preso tra Theresa May e i leader dell'Unione Europea che verrà votato in serata dal Parlamento Britannico. Secondo molti osservatori verrà respinto.

In questo caso, per via di una serie di tecnicismi, ci saranno poche ore per prendere una decisione e per avviare ulteriori negoziazioni. Al di là di una crisi di Governo, che pare scontata, le opzioni sembrano essere tre.

Quella standard è il "no deal", cioè l'uscita senza nessun accordo a partire dal 29 marzo. In sostanza, tornerebbero frontiere e dazi doganali. Difficile prevedere lo status di 4 milioni di persone, molti analisti prevedono scenari faustiani per l'economia locale.

Secondo scenario. Viene convocato un ulteriore referendum. Non sembra un'opzione scontata perché potrebbe rappresentare un tradimento del volere già espresso dagli elettori.

Pare difficile anche la terza via, rappresentata da un modello paragonabile alla Norvegia. Il Regno Unito rimarrebbe solo all'interno del mercato unico e dell'unione doganale. E' considerata un'uscita soft, tuttavia implica il mantenimento della libertà di circolazione, elemento importante nel referendum che ha sancito la Brexit.