Con il termine burnout si intende il fenomeno che porta a sviluppare problemi psicologici causati dall’accumulo di stress sul lavoro. Un fenomeno sempre più diffuso che riguarda tutti i lavoratori, anche se differenze sembrano emergere da paese a paese, non solo a causa di fattori oggettivi ma anche per la consapevolezza o meno di questo tipo di problematica. Un fenomeno spesso legato anche alla quantità di ore lavorative e ai salari percepiti. Non è un caso che tra i primi posti della classifica dei paesi europei con il maggiore rischio di burnout si piazzino quelli con la settimana lavorativa più lunga e con i salari più bassi.
La prima posizione l’ottiene infatti il Portogallo dove si lavora mediamente 39,5 ore alla settimana, guadagnando circa 22.373 euro. A seguire Grecia, Lituania, Ungheria, Slovacchia, Polonia e Slovenia dove si raggiungo le 39 ore lavorative settimanali e una media di 33.785 euro di salario al mese.
Tra i più soddisfatti sembrano essere invece i lavoratori che impiegano meno ore sul posto di lavoro e guadagno praticamente il doppio degli ultimi della lista. Danesi, olandesi e norvegesi, sono ai primi posti seguiti da gran parte del nord europa e dall’Italia che si piazza al nono posto prima di Svezia, Lussemburgo, Austria e Regno Unito.
Questo a dimostrare come in molti paesi si è sviluppata una consapevolezza del problema e si stanno iniziando ad attuare nuove misure per garantire che la salute mentale dei dipendenti sia presa in considerazione sul posto di lavoro. Ad esempio, proprio in molti dei paesi nordici è stata introdotta una settimana lavorativa di quattro giorni, che permette di mantenere un sano equilibrio tra vita lavorativa e privata.
Barbara Costamagna