È sindaco di Udine da poco più di 48 ore ma è già in piena attività Alberto Felice De Toni, ingegner, professore universitario, rettore dell’Università di Udine dal 2013 al 2019, e protagonista di una delle poche vittorie del centro sinistra negli ultimi mesi.
De Toni ha battuto il sindaco uscente di centro destra del capoluogo friulano, Pietro Fontanini, al ballottaggio, riunendo attorno a sé un ampio schieramento che andava dal Terzo Polo ai partiti di sinistra, con alcune liste civiche: proprio la condivisione di un unico programma fra molte forze diverse, dice, è stata una delle chiavi del successo che ha segnato il cambio della guardia al comune di Udine.
“La mia – spiega – era una candidatura civica, che guidava una lista civica, ma avevamo tre partiti dietro, Terzo Polo, PD e sinistra, ma poi avevamo un'altra coalizione guidata da Marchiol, che aveva fatto una lista civica, Spazio Udine, ma aveva al fianco dei partiti come i Cinque Stelle, Rifondazione comunista e Open FVG. La caratteristica chiave quindi, era il fatto che le due coalizioni erano entrambe civiche, e quando siamo arrivati al ballottaggio abbiamo costruito un’alleanza fondata sul progetto di città. Siamo riusciti a mettere insieme ben sette liste, anche molto lontane sul piano della appartenenza ideologica, ma in realtà abbiamo trovato una convergenza sul progetto di città. Quindi il progetto unisce mentre le appartenenze dividono, e questo secondo me è stato il punto chiave: abbiamo anche rappresentato un'idea di città più viva, più attrattiva, e più inclusiva, in una parola più felice, e su questo abbiamo ottenuto alla fine il conforto degli elettori.”
Ma quindi mi sta dicendo che la sua vittoria non può essere indicata come una sorta di laboratorio per il futuro del centro-sinistra, è più un caso legato a lei e al programma che ha presentato a Udine?
“Io dico che questa vittoria nasce da due progetti civici, che poi sono confluiti in un progetto civico unico, che però è stato capace di fare il catalizzatore di tutta una serie di forze dal Terzi Polo fino a Rifondazione Comunista, che sono riuscite a stare insieme e non sulle loro idee politiche di fondo, ma sul progetto di futuro della città. La domanda è se questo modello è esportabile in Italia: la risposta è sì. Se qualcuno riesce a fare un progetto di paese, ecco che mettere insieme i Cinque Stelle al Terzo Polo può essere possibile, ma ci vuole un progetto di paese credibile e che abbia sostanzialmente la capacità di evocare negli elettori una possibilità. Le forze che oggi sono molto divise nel centro-sinistra, anziché marcare le differenze, devono cercare i punti di convergenza, che possono essere sui giovani, sul turismo, sul patrimonio culturale, sulla città, su un paese capace di mixare arte con tecnologia (abbiamo tante cose meravigliose in Italia), e che possa diventare un polo attrattore e mettere insieme tutte attività che oggi sono stati disperse. Ricordo che alle ultime politiche a Cinque Stelle, PD e Terzo Polo sono andati tutti e tre divisi e nei collegi uninominali il centrodestra ha stravinto. Tornando dunque alla domanda se il modello di Udine è esportabile, dico che dipende se riusciamo ad avere un progetto di paese che possa essere unificante rispetto alle appartenenze, a volte biologicamente molto lontane”
Ma non si sente un po' isolato in regione? La Giunta regionale è di centrodestra, le altre grandi città sono governate dal centro-destra…
“Guardi, questa idea che il Comune, la Regione e il paese debbano essere governati dallo stesso colore, è un'idea non istituzionale, perché le istituzioni hanno il dovere di collaborare e cooperare per il bene comune, indipendentemente dal colore dei partiti che le governano in quel preciso momento. Le cose peggiori in Italia sono successe quando quei colori si sono impossessati delle istituzioni, quindi no.
Dobbiamo difendere le istituzioni da una colonizzazione dei colori, dobbiamo invece rivendicare istituzioni che fanno il loro mestiere, cioè fare gli interessi della Regione, o del Comune. Io credo che quello che fa bene a Udine, fa bene anche alla Regione, quindi mi auguro che Fedriga abbia un comportamento istituzionale e non legato al nome del partito a cui è iscritto”.
Parlando di programmi, di futuro, voi avrete subito dei grandi impegni dal raduno degli Alpini al Primo Maggio. Si entrerà subito nel vivo e non avrà il tempo di iniziare per gradi…
“Abbiamo un sacco di impegni, il 25 aprile dietro l'angolo, poi abbiamo il primo maggio, e anche l’adunata degli Alpini, e quella sarà una grande occasione per Udine e per il Friuli di riaccogliere gli Alpini. C’è un legame storico della Julia con gli Alpini: ricordo il terremoto del ’76, dove gli alpini hanno fatto un lavoro straordinario, e il sostegno che gli Alpini danno in ogni occasione quando ci sono calamità naturali, alluvioni, frane, Sono nel cuore dei friulani e degli udinesi, Sarà una grande festa, una grande opportunità per riscaldare e rilanciare questo legame”.
Se dovesse identificare delle priorità per la città, quelle a cui pensava durante la campagna elettorale, quali sarebbero?
“Le priorità sono da un lato i servizi nei quartieri, servizi sanitari, ambulatoriali e anche di aggregazione sociale, ma poi c'è il tema della raccolta rifiuti: dobbiamo cambiare il modello, perché c'è una situazione di difficoltà in certe realtà. Queste sono le due principali, ma poi ce ne sono altre, ma abbiamo scritto tutto nel programma.”
Lei nella contrapposizione contrapposizione che c'è sempre stata, anche goliardica ma non solo, fra Trieste e Udine come si pone? Qual è il suo atteggiamento?
“Io quando sono stato rettore ho sempre lavorato per la convergenza e la cooperazione, perché le due città hanno due storie diverse, due strutture diverse, ma sono complementari: una ha nel porto il suo punto nevralgico, diciamo di svolta, mentre Udine e il Friuli rappresentano la produzione industriale e artigianale, quindi secondo me c'è una complementarietà naturale. È chiaro che ci vuole un patto tra le classi dirigenti”.
E questo patto c’è?
“Bisogna costruirlo, perché, attenzione, il successo nasce dalle alleanze, questa è la verità. Noi in queste elezioni abbiamo vinto perché abbiamo fatto un’alleanza che metteva insieme tutto quello che non era di centro destra, e vale lo stesso anche per i territori. Sul piano evolutivo è dimostrato che la comparazione paga più della competizione, e le leggi antitrust ne sono un esempio: le imprese, quando possono, si mettono d'accordo a danno dei consumatori, e quindi la competizione, anche delle imprese, paga di meno della cooperazione. Questo vale anche per i territori: bisogna lavorare per creare i contesti dove sia evidente che competere porta danno ad entrambi”.
Alessandro Martegani