A Capodistria aveva preso una stanza d'albergo a proprio nome ed era finito in mare in preda ai fumi dell’alcool.
Durante il processo, l’imputato non è stato messo in custodia cautelare, gesto ritenuto non necessario dai pm al tempo. L’omicidio per il quale è stato condannato, risale alla notte del primo maggio 1985. Rivendicato dai Nar, Nuclei armati rivoluzionari di matrice neofascista, organizzazione responsabile di una lunga stagione di sangue del terrorismo di estrema destra, vi perse la vita l’agente della polstrada Giovanni Di Leonardo, fermatosi con il collega Pierluigi Turriziani a soccorrere una vettura che sembrava in avaria lungo l’autostrada Roma- L’Aquila.
Ci vollero 30 anni per risolvere il caso, a inchiodare Dante è stata una foto e un'impronta rilevata sull'auto della polizia, che ha trovato riscontro con la banca dati delle forze dell'ordine, mentre gli altri componenti del commando omicida non sono mai stati identificati.
Dante venne condannato all'ergastolo in primo grado solo nel 2019, condanna confermata dalla Cassazione nel 2020, dopo che il caso era stato riaperto nel 2014. Complice la tenacia della Digos e lo sviluppo delle tecnologie del settore, è stato possibile confermare il suo coinvolgimento nella tragedia. Uno degli argomenti della difesa avrebbe sostenuto che l’impronta rinvenuta risalisse agli anni antecedenti l’atto terroristico, quando assieme ai colleghi motociclisti venne fermato ripetutamente da diverse pattuglie in zona. Argomentazione che non aveva convinto l’Italia, perciò Fabrizio Dante tenterà di dimostrare la sua innocenza dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.